VOIVOD, The Wake

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Target Earth era stato il biglietto da visita per presentare ai fan il nuovo chitarrista Daniel “Chewy” Mongrain, colui che aveva l’arduo compito di sostituire uno dei musicisti più innovativi dell’intera scena metal. La prova non era solo andata bene, ma aveva fatto capire come Mongrain fosse probabilmente l’unico in grado di avvicendare un vero e proprio mito (una sorta di culto per moltissimi fan devoti), sensazione ribadita prima dai live della band e in seguito con l’ep Post Society, in cui si avvertiva chiaramente la volontà di tornare a sperimentare e lasciarsi andare, merito anche del giusto equilibrio trovato da Chewy tra fedeltà al passato e forte personalità, oltre alla sua tecnica a dir poco impressionante. In seguito, la formazione ha dovuto affrontare la (nuova) defezione dello storico bassista Blacky, anche lui portatore di uno stile particolare e determinante, in questo caso decidendo di sostituirlo con un musicista dall’approccio nettamente differente, Dominique “Rocky” Laroche, in qualche modo meno estremo e più canonico, ma allo stesso tempo tecnico e anche lui “personale”, per non parlare dell’entusiasmo palpabile che ha saputo dimostrare sin dalle prime esibizioni live. Era molta, insomma, la curiosità per il primo album con la nuova line-up al completo, una formazione con il desiderio evidente di puntare ancora una volta la prua dell’astronave verso lo spazio profondo, senza più timori reverenziali verso una storia tanto ingombrante e le varie vicissitudini (tragedie) affrontate.

Come suona, dunque, The Wake? Inutile girarci intorno, l’album si impone subito come ambizioso e per nulla timido o di mestiere, riprende e anzi accentua la componente prog, si lancia nella sfida del concept (ovviamente legato a tematiche care da sempre ai canadesi), riannoda le fila con dischi storici come Dimension Hatröss, Angel Rat e The Outer Limits, ma ne rappresenta una continuazione e non certo un patchwork, grazie anche a Mongrain e alle sue caratteristiche. Si potrebbe definire un disco ambizioso e complesso, di certo segnato dalla voglia di suonare “senza rete” e senza troppi limiti auto-imposti, ma anche un lavoro in tutto e per tutto voivodiano. Si potrebbe addirittura affermare che la band ha deciso di ripartire da dove aveva lasciato prima dei due album con Forrest, della parentesi Newsted e della tragica scomparsa dell’indimenticabile Piggy (al secolo Denis D’Amour) e lo ha fatto con un risultato che sorprende e riporta i Voivod a livelli di splendore inaspettati. Qualcuno ha addirittura sostenuto che ci si trova di fronte ad uno dei capitoli più riusciti dell’intera discografia, un’affermazione coraggiosa ma che non manca di molto il centro e che, col senno di poi, ben potrebbe rivelarsi fondata. Per ora e a caldo, The Wake si impone come una delle uscite più importanti in campo metal di questo già ricco 2018, dimostra una freschezza e uno stato di grazia che non era facile aspettarsi da questi “vecchietti”, soprattutto non si arrocca su fattori come mestiere e tradizione, ma contagia l’ascoltatore con l’entusiasmo e la voglia di guardare avanti di una formazione che ha trovato nuova linfa vitale e non ha più il timore di fare i conti con il proprio passato e la propria storia. Piggy di sicuro avrebbe apprezzato il mix di tradizione e innovazione, le atmosfere spacey, le lunghe cavalcate di chitarra, l’utilizzo di timpani e archi, le aperture a cavallo tra psichedelia e prog, il funambolismo di Chewy, la sezione ritmica che contrappunta e accenta i passaggi, persino lo stato di forma di Snake, saldo nel suo ruolo di cantastorie e guida nelle pieghe del concept che si dipana per quasi un’ora ma non viene mai a noia, né si dilunga oltre il necessario. Poco altro da aggiungere, bentornati mercanti di caos.

Tracklist

01. Obsolete Beings
02. The End of Dormancy
03. Orb Confusion
04. Iconspiracy
05. Spherical Perspective
06. Event Horizon
07. Always Moving
08. Sonic Mycelium