VISIONS & PHURPA, Monad

Entro in contatto coi Phurpa nel 2011, già sette anni fa (teniamolo presente), quando Stephen O’Malley, tramite la sua neonata Ideologic Organ, ristampa il loro Trowo Phurnag Ceremony, uscito l’anno precedente per un’etichetta russa. Il “throat drone” profondissimo di Alexei Tegin e compagni è del resto parente stretto del drone doom dei Sunn O))), quindi la scelta di Stephen appare coerente e logica. Da quel giorno i Phurpa convincono sempre più addetti ai lavori ed evidentemente appassionati, finendo su tutta una serie di etichette – Cyclic Law compresa – che abitano l’arcipelago industrial e si occupano di dark ambient, anche perché pare che i Phurpa stessi provengono da lì, solo che a un certo punto hanno cominciato a risalire la corrente del tempo.

Quest’aprile vedo per la prima volta dal vivo “i monaci” a Pordenone, in un ex convento, in occasione del Congresso Post-Industriale di Old Europa Cafe: la loro performance surclassa per intensità e consistenza quelle del megapompato Trepaneringsritualen e di New Risen Throne, dunque non mi rimane più nessun dubbio su come mai siamo a una ventina di uscite tra il 2011 e oggi, una media di tre all’anno con una crescita vertiginosa negli ultimi, quando più di qualcuno ha cominciato a capire che funzionano meglio loro di un tizio con un synth, un laptop e qualche campionamento stra-sentito. Il sound dei Phurpa è eterno ed essenziale: canto armonico e in misura di gran lunga minore strumenti a fiato e a percussione etnici, appartenenti alla tradizione tibetana alla quale si rifanno. Non serve altro e basterebbe solo non inflazionare troppo le uscite, perché di questo passo avrà senso solo vederli live in tutta la loro potenza e in tutto il loro immobile carisma.

Cyclic Law è un’etichetta che da anni occupa una posizione di rilievo nel suo scenario di riferimento. Il suo fondatore, il canadese non da troppo tempo a Berlino Frederic Arbour, è in giro da anni, ha una serie di progetti personali, tra i quali Visions, e ha pensato giustamente di collaborare – a distanza? – coi Phurpa per avere un bel numero 100 per il catalogo Cyclic Law. A scatola chiusa, visto quanto ho scritto, due sono le critiche: (1) Arbour sembra arrivare sempre dopo che altri hanno fatto la prima mossa, nel senso che oggi giocare sui russi è un po’ troppo facile se non dannoso; (2) proprio perché in qualche modo il sound dei Phurpa è autonomo e fuori dal tempo, può essere molto pericoloso provare a combinarlo con altro, anche se sarebbe omicida impedire a prescindere a un artista di cercare nuove soluzioni (esiste già ad esempio una collaborazione Phurpa-Deathstench densa come l’uranio e che ha qualche motivo d’interesse). A scatola aperta e disco in ascolto, la situazione non è male, anche se prevedibile. Tegin stesso utilizza parti ambientali di matrice elettronica come sottofondo e come tessuto connettivo tra un canto e l’altro, dunque qui Arbour non fa altro che provare a vedere che succede spostando un po’ quest’ equilibrio ed è già la copertina a suggerire la risposta: il rituale delle voci apre un varco spazio-temporale e Visions lo espande a dismisura tramite bordoni sintetici, lasciando intravedere mondi inimmaginabili. Se ben predisposti, c’è comunque il rischio di rimanerci sotto a lungo.