VENOMOUS CONCEPT, Politics Versus The Erection

Lo scenario politico appare perfetto per un ritorno in pista dei Venomous Concept e per il loro hardcore estremo, nato con i Poison Idea come padri putativi e un piede ben saldo nella scena grindcore in cui i musicisti coinvolti si muovono da sempre. Tornato Embury al basso al posto di Lilker e con le chitarre affidate al solo Cooke (Sharp ed Herrera completano il dream team), la band dichiara subito i propri intenti con una copertina che unisce la storica mascotte di Mad al presidente arancione, come a dire che ormai satira e politica si sovrappongono e riesce difficile capire dove finisca l’una e inizi l’altra. In fondo, non fosse una tragedia con tanto di morti, ci sarebbe di che riempire pagine della nota rivista umoristica grazie alle esternazioni sempre più improbabili dei politici mondiali, una situazione che sembra l’accelerante ideale per l’estremismo in note caro alla band. Il tutto si potrebbe riassumere in questa frase tratta da “Hole In The Ground”: fuck all your nonsense and the air that you’re breathing. Ecco, il nuovo lavoro dei Venomous Concept è tutto qui, un sonoro vaffanculo all’attuale situazione planetaria, un dito medio sorretto da bordate di grindcore con quel piglio tipico che rende immediatamente riconoscibili i suoi artefici e non fa misteri su chi manovra la nave. I brani ci sono, hanno la giusta personalità che li rende immediatamente memorizzabili e riconoscibili, si possono persino canticchiare visto che il mood hardcore punk vecchia scuola è sempre ben presente e la stessa velocità è contenuta e piegata alla ricerca del ritmo grazie a un basso che detta l’andamento di molti dei brani. Non mancano, ovviamente, momenti in cui la pesantezza aumenta e la rabbia prende il sopravvento, così da lasciare che la bestia si scateni, ma non è mai una violenza fine a sé stessa o avulsa all’interno di un album che appare sì vario ma mai privo di un filo conduttore, così da potersi mandare giù tutto d’un sorso e senza fatica alcuna. Del resto, l’assalto dura poco più di mezzora e non fa rimpiangere il tempo speso ad ascoltarlo, la classe non è acqua e, pure quando sembrano mettere il pilota automatico, i quattro riescono a tirar fuori pallottole in grado di colpire il bersaglio senza fatica. Perfetto il finale “strambo” con una title-track dal sapore industrial tra Ministry e Killing Joke, un commiato che accompagna l’ascoltatore ai titoli di coda e chiude in modo efficace un lavoro che di certo non cambierà la storia della musica estrema né resterà come pietra miliare del genere, ma che sa farsi apprezzare e mantiene le aspettative per un progetto tornato al momento giusto con il disco giusto. Cosa chiedere di più?