ULTRAMANTIS BLACK, UltraMantis Black

Ultramantis Black

C’era un wrestler vestito da mantide religiosa che si era unito a membri dei Pissed Jeans per mettere su una band di hardcore punk politicizzato, che nel suono si ispirava a Lightning Bolt, Daughters, Agoraphobic Nosebleed, Genghis Tron e Spazz. Potrebbe essere benissimo l’inizio di una barzelletta e, invece, è la base di partenza per un lavoro che colpisce come una lametta affilata, lascia tagli profondi nella pelle e convince senza se e senza ma. La Relapse si prende cura di questa folle corsa tra campioni di discorsi, schegge di hardcore mutante e sghembo, tanto noisy quanto ruvido, riottoso, a tratti persino ostile. Il tutto brucia in un attimo come una molotov lanciata contro un muro, tramortisce l’ascoltatore e fa venire voglia di rifare il giro da capo. Nulla che non ci si sarebbe dovuti aspettare da gente che ha suonato in una cult band come i Pissed Jeans, niente di nuovo sotto al sole, eppure a tratti ci si riesce persino ad esaltare per le rullate impazzite, gli squarci di distorsione, le accelerazioni repentine e gli stacchi ricchi di groove, i feedback e le note lasciate a risuonare come ne andasse della propria vita. C’è anche qualche rallentamento che ricorda quelli dei Black Flag (con voce narrante in sottofondo), quindi non manca proprio nulla e soprattutto nulla sa di posticcio, di manovra studiata a tavolino, o almeno questa è la sensazione trasmessa dal debutto di questo folle progetto. Se son rose fioriranno, per ora si gode senza starci troppo a pensare, che in fondo di questi tempi va benissimo così.