UFOMAMMUT, Fenice

Inutile presentarvi gli Ufomammut, se ci seguite e vi interessa un minimo la musica di cui trattiamo saprete già tutto di loro, del resto la formazione calca le scene da più di venti anni, dei quali ben dieci in compagnia della Neurot Recordings, e questo è il suo nono album. Quello prima, chiamato semplicemente 8, è stato anche l’ultimo con il batterista Vita, che nel 2020 ha deciso di lasciare, un duro colpo per la band tornata oggi operativa dopo una pausa di riflessione e l’inserimento del nuovo membro Levre dietro alle pelli. Scontata quindi la curiosità per Fenice, un disco che già dal suo titolo si presenta come una rinascita e l’inizio di un nuovo capitolo: come affermato anche da Urlo, questa volta la band ha deciso di non proseguire nel suo percorso ma piuttosto di ripartire ex novo. Questo è di certo uno dei motivi per cui l’album raccoglie in sé gli elementi insiti nel dna degli Ufomammut ma, al contempo, si lascia andare ad un tratto più sperimentale ed intimista, a tratti sussurrato (come la voce che fa capolino da dietro gli strumenti a donare una dimensione onirica al tutto) e lascia meno spazio a quel ruggito che di loro rappresenta da sempre un tratto distintivo. La lunga traccia divisa in sei movimenti ha dalla sua una forte spinta spaziale che richiama il kraut e le sue dilatazioni così come il deserto dell’Arizona e i vortici di fumo che salgono verso il cielo in quello che è un viaggio ricco di saliscendi emotivi e di sapori differenti, portati in dote anche dall’impostazione del nuovo batterista. Di certo, la band (o meglio i due membri storici) ha saputo far tesoro della separazione dal vecchio compagno di viaggio e della pausa di riflessione successiva, così da offrire al suo pubblico un lavoro affascinante e non scontato, in grado di smentire chi vedeva in queste vicissitudini un segno di stanchezza e di logorio, perché sembra al contrario che lo shock abbia rivitalizzato la scrittura e offerto nuovi stimoli. Tra synth, spinte sperimentali, stonature – non certo degli strumenti, facciamo a capirci – e una scrittura più lineare e avvolgente, Fenice interrompe il flusso e lo fa ripartire verso lidi contigui ma non certo sovrapponibili, il che farà storcere il naso a qualche vecchio fan e farà la gioia di chi, al contrario, aveva cominciato a sperare in un cambiamento più marcato nel percorso, soprattutto dimostra che la parabola degli Ufomammut è lontana dall’esaurirsi e ha trovato nuove vie da esplorare senza snaturare la propria cifra espressiva o rinnegare quanto fatto finora. In soldoni, Fenice rappresenta un solido primo gradino su cui ricostruire e una prima portata idonea a tenerci seduti a tavola per scoprire cosa verrà servito dopo, il che non era affatto scontato. Bene così.