U Suck! La mostra di Andre The Spider ad Ancona

Spider

La mostra e tutti gli eventi ad essa collegati si svolgeranno presso la Mole Vanvitelliana di Ancona.

30/8 – Inaugurazione

Opening party by Glue-Lab: dalle 18 alle 24 ci saranno aperitivo, dj set (Gabriele), concerto Wakan.

7/9  – Workshop Serigrafia by Rinoteca

Corso di serigrafia in cui verrà stampato e lasciato in regalo uno dei lavori esposti di Andre the Spider.

13/9 Closing Party By Raval & Hot Viruz

Dalle 18 alle 24 aperitivo, dj set (Jimmy e Rapa), concerto STÈV

Di seguito le parole di Paolo Marasca sul lavoro di Andre the Spider.

I lavori di Andrea Paleri sono una personalissima centrifuga della pittura e dell’illustrazione novecentesche e quando se ne parla si finisce per correre il rischio che corre lui quando dipinge: prendere migliaia di strade contemporaneamente e moltiplicare all’infinito le narrazioni come scatole cinesi.

La prima cosa di cui parlare per tenere la rotta è l’urgenza: la necessità quasi ossessiva del segno, il ricorso a supporti scelti per necessità (un’anta d’armadio, una porta, una tavolaccia gettata all’esterno di una falegnameria) e il dialogo con questo limite fisico. Un bisogno materico di comunicare, ma anche di avere uno spazio dettato dall’esterno, un limite, che è la grande forza motrice della pittura d’ogni tempo.

Pittura, appunto, è la seconda cosa. Paleri utilizzando come supporto oggetti del quotidiano afferma la sua personale scala delle priorità: la pittura sta sopra, tutto il resto sotto (Spider, il suo cane, a parte, che difatti ha messo ad abitare il proprio nome d’arte). Non è difficile capire che potrebbe sventrare una casa intera per dipingerci sopra, e rimanere senza tetto sulla testa: un po’ come accade a Kurt Schwitters, grande compulsivo dell’arte del XX secolo.

Arte del XX secolo è la terza cosa: ho scritto centrifuga, perché con filologia chirurgica Paleri prende in mano alcuni momenti fondamentali dell’arte del Novecento e li rimescola nel grande vassoio della contemporaneità. Lui, infatti, vive nel nostro tempo: il tempo in cui la scienza sembra poter rivelare ogni cosa, in cui il mistero della vita lascia posto agli esami neurologici e genetici, l’amore si dice sia una questione eminentemente chimica, la sofferenza un disturbo neuronale, la morte un accidente prima o poi recuperabile. In cui tutto ci guarda attraverso: le radiologie, le t.a.c., le ecografie, i profili on line, i cookies. Ecco dunque che non è sufficiente la moltiplicazione di prospettive reali e pensate de Les Demoiselles d’Avignon di Picasso : bisogna entrare dentro la macchina umana; ecco anche che la distruzione della materia-corpo di Bacon diventa irrilevanza della carne, deformazione di organi interni, racconto intestinale. Ecco che il paesaggio multicentrico di Klee diventa narrazione interiore (nel senso delle interiora) e capillare del solo paesaggio che riusciamo a vedere: il nostro. Capirete che non ci salva facilmente da una pittura così: uno prende una porta, la rovescia e ci dipinge sopra la presenza costante della morte. Ed è questo, per inciso, che da sempre fa l’arte.

La quarta cosa, quindi, è la salvezza: la pittura che ci rivela la nostra mortalità e nel contempo si riprende il diritto di guardarci dentro lei, non le t.a.c., le radiografie, le gastroscopie, dandoci in questo modo una speranza, non di non-morte né di non-consunzione, le illusioni odierne, ma di poesia. Per farlo, la pittura ci avvicina all’abisso, e quando siamo pronti ci riprende: con un fiore che cresce a fianco ad un fegato, l’improbabile presenza di figure geometriche al posto di organi vitali, una moltitudine di segni e oggetti autonomi che abitano i corpi. E con un senso dell’ironia che rappresenta il distacco necessario dalla sofferenza d’esistere, da che mondo è mondo. Ironia della quale queste opere sono piene. E per fortuna.

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