TRUE WIDOW, 21/4/2014

True Widow

Carpi (MO), Mattatoio.

Unica tappa italiana del tour europeo a supporto di Circumambulation, il loro ultimo disco uscito l’anno scorso su Relapse, quello del Mattatoio di Carpi era uno di quegli appuntamenti da non perdere – visto anche il prezzo, appena 5 euro – per poter finalmente tastare dal vivo lo spessore dei True Widow di Dallas. Le aspettative erano piuttosto alte, vista l’assoluta qualità delle loro uscite discografiche, un amalgama di slowcore, psichedelia, rock e folk tinti di nero, che rievoca paesaggi notturni e atmosfere trasognate dal cuore indiscutibilmente dark: l’America della provincia, dei trailer park e del deserto di notte, con un pizzico di mistico-misterioso che non fa che amplificarne la carica emotiva. Il palco è buio, ci sono solo delle luci bluastre a illuminare i tre musicisti, che senza dire una parola salgono sul palco, imbracciano gli strumenti e cominciano a suonare: il basso di Nicole Estill è pieno e avvolgente, sin dalle prime note il pubblico è irrimediabilmente rapito dall’incedere ipnotico dei brani, la maggior parte dei quali tratti da Circumambulation e dal precedente As High As The Highest Heavens And From The Center To The Circumference Of The Earth. Se la voce di Dan Phillips è perfetta per le atmosfere liquide di “Blooden Horse” o “S:H:S”, è quella di Nicole Estill che è in grado di catapultare i True Widow in uno spazio dove i sogni diventano realtà: “Four Teeth”, già sublime su disco, diventa qui un crescendo che ha quasi dell’epico, grazie anche al controcanto di Phillips, e le teste degli ascoltatori iniziano a ondeggiare come fossero sott’acqua. È proprio quando compaiono entrambe le voci, come in “NH”, che la mente vaga dalle parti dei Low più elettrici che si fanno accompagnare dai Dead Meadow di Feathers, altrove ad affiorare è invece lo spettro di gruppi come Codeine, Brian Jonestown Massacre o Brightblack Morning Light, tutta gente che di psichedelia, lentezza, indolenza ed emotività se ne intende. Il concerto scivola via con naturalezza: tutto è blu, fuori e dentro, e si sta bene, poco importa che verso la fine il batterista Timothy Starks abbia il rullante rotto, il pubblico è soggiogato e si sveglia solo per applaudire tra un pezzo e l’altro. Gente timida, i True Widow, solo qualche parola di ringraziamento ogni tanto, ma non c’è bisogno di qualcosa in più: la situazione sul palco è rilassata, i tre musicisti sono a loro agio e potrebbero andare avanti a suonare per ore, ma come tutte le cose belle anche questo incantesimo finisce dopo un’ora abbondante, con tanto di bis richiesto da qualche buonanima che alla fine riesce a ripigliarsi e urlare un “one more!” al gruppo ormai in procinto di lasciare il palco.

Un’esperienza magica e blu.