Tre dischi Ramble Records: Droneroom, Trio_io e Francesca Naibo

Ramble Records è figlia del primo Lockdown. Nel 2020, a Melbourne, Stato di Victoria, Australia, Michael Sill (attivo come The Man From Atlantis e già nei progetti Imperial Leatherman e Ray Of Creation) decide di trasformare d’impeto il suo mail order in etichetta discografica, sfornando in due anni cd e vinili a ritmi da capogiro (siamo già a 36 uscite) e gestendo un blog in cui non le manda a dire a pubblico, media e negozianti di Melbourne ed Australia tutta (nemo profeta in patria Michael, don’t worry!). Il suo sguardo è grande grandissimo: lo conosco in primis per aver collaborato alla pubblicazione di uno dei miei dischi di chitarra libera degli ultimi anni, Contemplations And Other Instumentals From The Valley di Davide Cedolin. Decido quindi di scrivergli per capire cosa cos’ha messo sul piatto Ramble nelle ultime settimane (ai ritmi di Michael distrarsi un paio di mesi potrebbe essere la fine) e casco su tre uscite parecchio interessanti, The Most Gorgeous Sleep di Droneroom, New Animals dei polacchi Trio_io e So Much Time di Francesca Naibo.

Blake Edward Conley è un vagabondo. Così almeno lo definisce una delle testate in cui ho cercato informazioni su di lui. Altrove lui stesso racconta della sua infanzia con il padre camionista e di quando, anziché fare le classiche ferie, affrontavano viaggi on the road su 18 ruote lungo tutti gli Stati Uniti. Quando abbraccia una chitarra Conley si trasforma in Droneroom, autore in questi ultimi mesi di ben due album (senza contare una compilation, sempre edita da Ramble), Easy Payday per Moonlight Cypress Archetypes e questo The Most Gorgeous Sleep. Quest’ultimo, in esame al momento, si componde di cinque brani, di cui quattro sopra la decina di minuti, per un viaggio in quella terra dove chitarra, lap steel, chord organ e campanelli si fanno tutt’uno con l’ambiente e le folate di vento. Sciabordate strumentali che potrebbero ricordare Roy Montgomery così come gli Appalachi o l’India, ma soprattutto dove si sentono i chilometri di prateria e di spazi introiettati, dimenticandosi della paura e caracollando senza remore per un tempo immemore. Libertà ed armonia, voli imprevedibili ed ascese velocissime. Nell’ultimo brano, “Road Does Not End”, Conley mette in campo la voce e gli Om ma – anche se è paradossale – risulta meno convincente. È verosimile che sia già ripartito per un’altra tappa del suo ramingo cammino. D’ora in poi lo seguiremo.

I Trio_io, invece, sventagliano sul selciato la parure animalistica: formiche, lama, balene, opossum, picchi, elefanti ed api. Flauto, violino, campane, chitarra elettrica per un free jazz da camera e “concreto”. Ci sono il volo libero, l’incedere drammatico, l’allestimento di vere e proprie scenette cadenzate che però si espandono a livello temporale, risultando stranianti e dinamiche in maniera quadi esagerata. I comunicati ricordano la grande tradizione polacca di musica trasversale e sperimentale quale contrappunto alle immagini. Possiamo suppore che il solco seguito sia il medesimo e che la mancanza di un apparato visivo in questo caso faccia la differenza ma, comunque, un brano dopo l’altro il passo si fa trascinato e pesante, si perde freschezza. Anche quando il minutaggio è meno esteso, lo squillo non porta mai quasi mai ad una sorpresa o ad una rivelazione brillante, per cui rimandiamo il trio ad un’altra occasione, consapevoli delle loro indubbie qualità, ma perplessi rispetto a tematiche e realizzazione. Escono vincenti “Opossums” ed “Elephants”, per colore e risolutezza.

Con l’ultimo disco, il secondo per Francesca Naibo dopo Namatoulee per Aut Records, rientriamo in territori a me molto più familiari, vista la registrazione ai Nitön Studios da Luca Martegani / Xelius ed Enrico Mangione / El Toxique, entrambi in forza ai Niton con Zeno Gabaglio, e per il taglio, la decisione e la secchezza di Francesca. Queste sono improvvisazioni in studio, nate dall’ascolto di vecchie audiocassette registrate da Francesca stessa quando aveva 8 anni, tagliate e rimontate insieme a suoni odierni, creando così un cortocircuito, tra l’altro estremamente preciso e minimale. Spaventoso quando due versioni della stessa persona si incontrano vocalmente, perché il ritorno della propria infanzia urlante non può che spaventarci. Francesca è molto calibrata e sa cambiare terreno di gioco in pochi accordi: è così che un fun time come “D’Accordo” diventa resa e quasi sconfitta per la giovane, mentre “E Se Poi Te Ne Penti” parte per una tangente di riff spezzato e tranciati. Spazio per il ricordo melanconico in un brano, quello centrale, nel quale si percepisce la ricerca dell’autrice della miglior soluzione per rappresentare la sua crescita, il cambiamento e la raggiunta maturità. I momenti che compongono questo disco sono, a tratti, parecchio privati, quasi schizofrenici visti i dialoghi esteriori tra la medesima persona, poi, però, si innalzano momenti di pura bellezza, come il finale non sarebbe meglio se venissi tu al posto mio? che ci fa capire come il confronto con sé stessi, anche e soprattutto a diversi anni di distanza, possa dare dei frutti incredibili per finezza e perfezione.