Toni Cutrone e NO=FI Recordings

Toni Cutrone e NO=FI Recordings

Non è la prima volta che ci occupiamo di Toni Cutrone e lo intervistiamo. A questo giro si prova ad approfondire un po’ di più il discorso che c’è dietro l’etichetta da lui gestita, la NO=FI Recordings. Le sue uscite, anche molto diverse tra loro (i suoi Hiroshima Rocks Around, G.I. Joe, Fuzz Orchestra, OvO, Cadeo, Mike Cooper, Rainbow Island…), ma soprattutto lo spirito che la anima, mi ricordano molte realtà legate ai Novanta più “alternativi” (questo è un termine che ai tempi andava molto, se avete ancora la memoria ben salda…) e il musicista calabrese di stanza nella Capitale ci conferma quest’opinione e l’attitudine che anima i suoi interessi, nati non a caso proprio a quei tempi. Non mancano poi aneddoti su come ha vissuto sulla propria pelle le sue passioni. In ultimo facciamo anche un po’ di pubblicità spudorata al locale che gestisce da tempo, il Dal Verme, piccolo tempio del rumore dove sono passate tante band. Buon divertimento.

Ciao Toni. Partiamo da lontano. Ho di te un vago ricordo di un concerto degli Hiroshima Rocks Around al Festival Della Palude nel 2011. Organizzava Aldo Becca di Palustre Records nell’isolata campagna di Chiesuola di Russi, in provincia di Ravenna. A distanza di tempo ricordo solo che era un sabato sera e che faceste un gran casino sul palco. Tu vieni dal noise (da queste parti ne abbiamo già parlato in un’altra occasione), una forma musicale che nasce da forte urgenza espressiva e voglia di essere presenti nei formati e nelle pratiche più dirette possibili. Poi decidi di ripartire come Mai Mai Mai e cambi in parte percorso stilistico, inventandoti in un certo senso una nuova figura. Come mai una scelta di questo tipo? E soprattutto, quando trovi il tempo di occuparti della NO=FI Recordings?

Toni Cutrone: Quella fu una gran serata, la ricordo benissimo. E sì, ricordo che i nostri volumi, per lo spazio in cui stavamo, erano davvero alti! Ma diciamo che era un po’ la “firma” degli Hiroshima Rocks Around. Avremmo deluso chi ci seguiva, se avessimo fatto diversamente. Siamo quello che gli altri vogliono da noi!

Per quanto riguarda Mai Mai Mai: sono stato spinto dalla voglia di fare qualcosa di totalmente nuovo (per mettermi in gioco, per divertirmi, per sperimentare…), e quasi per necessità è venuto fuori un progetto solista. Sai, il tempo non è mai tanto, tutte le persone con cui collaboro hanno lavori e urgenze o altri progetti (io stesso, anche…), e iniziare da zero qualcosa di nuovo è un bell’impegno, e mi ci sono trovato un po’ per voglia un po’ per destino solo soletto. Poi viene naturale il tagliare con il resto. Ho diversi progetti musicali e ognuno, diciamo, è a sé stante: non mi piace “ripetermi”, non ha senso tirar su una nuova idea se poi in fondo è uguale ad altre vecchie, dove sarebbe la novità? Per questo è stato un creare qualcosa di nuovo “in toto” proprio. Basti pensare che di base sono un batterista, e per la prima volta non ho una batteria con me!

Poi anche se diverso è tutto connesso, quindi il tempo si trova sia per l’etichetta, sia per suonare. Sono le facce di una stessa medaglia. Non c’è una senza l’altra…

Ora mi preme sapere come e perché hai deciso di fondare l’etichetta, e come scegli i progetti da pubblicare. E i formati (principalmente cassette, ma anche occasionalmente vinile o cd) li concordi insieme alle band? Scorrendo i nomi vedo cose molto diverse tra loro, e anche qualche interessante incursione estera, come Dan Melchior, Talibam!, Mike Cooper e Neptune…

L’etichetta nacque fondamentalmente per produrre gli Hiroshima Rocks Around: quando uscì il primo disco (Isolation Bus Blues, Vurt Recordz, 2001) decidemmo di piazzare sul retro del cd un bel NO FI! Quasi un avvertimento all’ascoltatore… Dopo di che iniziammo a produrre quello che registravamo su ogni tipo di formato, lavorando a mano sul packaging e cercando di creare un oggetto bello da avere… o se non bello almeno strano! E tenemmo NO FI come “etichetta”. Poi anno dopo anno, la voglia di collaborare con amici e altri gruppi si è lentamente trasformata in una vera etichetta (definiamola così?), NO=FI Recordings, con tanto di codici per le uscite. Tutte le produzioni, per quanto eterogenee stilisticamente, hanno una sorta di “linea di attitudine”. Ti dirò di più: il “NO FI” non è un’assenza di fedeltà alla qualità del suono (nella diatriba tra Lo Fi e Hi Fi), è un’assenza di fedeltà ai generi e alle etichette, è libertà di fare quello che ci si sente di fare e che piace. Tenuto poi insieme da una guida nascosta: tutti i gruppi usciti su NO=FI sono di persone che ho conosciuto, con cui abbiamo collaborato, con cui ci siamo ubriacati o abbiamo fatto una cena insieme, un tour o una registrazione… Se ci si sente uniti in qualcosa, mi piace sancirla con un lavoro fatto insieme.

Sul formato: di base faccio o vinili o cassette. A parte qualche decisione legata a volontà vere e proprie, conta anche la moneta! Come nei migliori angoli di Wall Street… Non ho soldi da investire che arrivano da altre fonti magiche, quindi se ho qualcosa per le mani e so che può avere mercato, investo nel vinile. Se ci sono cose che mi piacciono, ma rischiose o vere e proprie scommesse, si va con la cassetta. E poi magari dopo arriva lo stupore delle vendite…

NOFI1

E come vanno appunto queste vendite? Posso immaginare che i dati non siano eccezionali, ma spero di sbagliarmi… Effettui anche scambi con altre etichette? Ce ne segnali di interessanti? Hai un modello di riferimento di etichetta tipo? Personalmente quando penso a NO=FI mi vengono in mente realtà legate agli anni Novanta come Bar La Muerte e Wallace Records. O le americane Skin Graft e Load Records.

Mah, come ti dicevo non posso permettermi di avere rimanenze sul groppone, quindi mi ci impegno, e di vendere si vende. Chi più velocemente, chi ci mette più tempo. Ma tra distributori vari ed eventuali giretti in cui mi porto il merch dietro e negozi con cui collaboro, la roba se ne va. Non sono mai stato un tipo da scambi: nel senso che se c’è qualcosa che mi piace, tendo a comprarlo. Se poi a quella persona che lo ha fatto piace tanto la NO=FI e vuole fare uno scambio anziché intermediare col denaro, ben venga! Ma lo scambio in sé non mi ha mai affascinato: fare dischi costa, e non è avendo altri dischi in cambio che ci saranno i soldi per fare nuove produzioni… è di quello che si tratta. Gli introiti dell’etichetta vengono sempre reinvestiti in nuove uscite. Ovviamente c’è un discorso di stima reciproca con alcune altre realtà, per il quale, ad occhi chiusi, si scambia sempre: ma appunto, è per evitare che io dia quindici euro e poi dopo me li riprenda. Evitiamo un passaggio.

Non ho veri e propri riferimenti: ho amici che stimo per come lavorano o realtà di cui apprezzo tanto la linea. Per parlare di gente vicina e fare della genuina sponsorizzazione: penso a Boring Machines, Holidays Records, Yerevan Tapes e Avant! Records, Haunter Records, Black Sweat. O a gente come Second Sleep o Angst, se ci si addentra nel noise vero e proprio. Grandi prodotti, ottime linee sia estetiche, sia musicali, tanto da dire e da proporre insomma…

Bar La Muerte e Wallace sono tra le quelle che mi hanno fatto capire cosa voleva dire tirar su un’etichetta indipendente in Italia a inizio Duemila, collaborare, organizzare assieme, incontrarsi per strada, a festival, concerti, banchetti… Skin Graft, Load Records, Three One G, GSL, S-S Records erano le mie guide nel disparato “underground” americano, prima di arrivare a conoscerlo meglio e più approfonditamente… Fondamentali!

Mi dici quale band/artista ti piacerebbe pubblicare?

Mah, ti dirò, non ho dei sogni irraggiungibili o delle mete che mi pongo: viene tutto un po’ naturale. O se si sogna, lo farei in grande: tipo una bella cassetta dei Melvins o degli Swans!

Ora dimmi come sei cresciuto tu, musicalmente parlando.

Diciamo che intorno ai dodici/tredici anni ho avuto i giusti incontri che mi hanno incanalato verso la “retta” via, insomma, quella che in realtà è la via “sbagliata”… Ovviamente partendo da cose più punk (Black Flag, Germs, Fear, Circle Jerks, la California di “Decline Of Western Civilization”), dai Black Sabbath e dai Motörhead, e dal vecchio grunge che – ormai ci si vergogna a dirlo – a inizio anni Novanta ha portato i più curiosi a conoscere un underground americano niente male. E poi la No Wave newyorkese, le grandi “novità elettroniche” di Aphex Twin e Autechre da un lato e Panasonic dall’altro. Poi l’industrial più “commercialotto” di Ministry e Nine Inch Nails, fino alle cose più estreme del noise americano e giapponese. Dagli Slint ai loro “figliocci”, tra alti e bassi… o la Chicago della Touch And Go e della Skin Graft, la Load Records e le pazzie di Providence. Lo stoner di Fu Manchu e Kyuss, della Man’s Ruin. Il garage zozzo della Goner Records e di Memphis, la Kill Rock Stars… Questo è un po’ il panorama tra i miei tredici e i diciotto anni, che, immaginerai, a Crotone non era proprio tipico! Ma per fortuna eravamo un piccolo gruppetto affiatato! E dal ‘96 circa, Internet era arrivato a guidarci fuori dai confini delle nostre case meridionali…

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Hai in cantiere nuove uscite, vero?

Sì, certo! C’è sempre qualcosa in cantiere… anzi a volte vorrei fossero di più, ma è difficile stare dietro a tutto come si deve. Quindi preferisco meno ma fatto bene. L’ultimo vinile uscito è quello dei Fulkanelli, mentre il prossimo sarà il vinile di Lamusa, e a seguire quello dei Trouble Vs Glue. Mentre su cassetta la prossima uscita sarà dei Creapopolvsqve, duo formato dal glorioso Demented (Stefano Di Trapani) insieme a Mushy. Tutto questo tra qui e maggio…

Altra questione che ritengo importante, dato che credo tu abbia un po’ il polso della situazione: come vedi l’underground di casa nostra in questo periodo? Voglio dire, quasi citando Corrado Guzzanti: dove stiamo andando secondo te? Va già bene così, o si può cambiare e/o migliorare, ad esempio nelle proposte e nella promozione?

Il panorama italiano, come proposte musicali, al momento è davvero ricco. Un po’ in tutti i campi ci sono nomi notevoli, che si fanno notare sul suolo italico e che escono ben al di fuori dei nostri confini. Il problema però è che è molto difficile uscire dal Bel Paese, cosa fondamentale per non cadere in facile autoreferenzialità! Per farlo servirebbero più “strutture” adatte, diciamo: intendo una stampa che sappia spingere le cose veramente valide e le faccia arrivare più possibile agli ascoltatori, “educandoli” il più possibile e non cercando il “facile”, per quanto il limite linguistico sia invalicabile, qualunque rivista o blog in italiano avrà per forza di cose poca risonanza… Ci vogliono poi delle etichette che facciano un vero lavoro da label, facendo arrivare i loro artisti a più pubblico possibile (e sono io in primis con NO=FI a non reputarmi all’altezza di questo compito. Siamo nella nicchia, amati e rispettati, ma comunque lontani da quello che una vera etichetta dovrebbe fare… così per necessità e per voglia eh, senza rimpianti, ma almeno coscienti della situazione…). E anche i festival: la situazione italiana è diciamo “carina”, ci sono dei bei festival, parlo sia in ambito DIY che in contesti più istituzionali. Ma sono pochissimi quelli che sanno osare ed offrire proposte interessanti ma non facili, magari unendo grandi nomi a realtà più underground ma stuzzicanti: insomma non i soliti del momento, che i booker del momento vendono a pacchetti e che quindi fanno parte di tutte le line up di tutti i festival del momento. Spesso è un serpente che si morde la coda…

Non saprei però da dove iniziare per cambiare la situazione se non nel mio piccolo, cosa che già faccio tra il Dal Verme e i vari festival che tiriamo su. A parte il Thalassa o Roma La Drona, parlo di eventi esterni e con maggiore risonanza e capienza, come il Pigneto Spazio Aperto di un paio di anni fa, o l’Handmad(e)s Festival dell’anno scorso, e altre collaborazioni estive…

Ora raccontami del concerto della vita…

Se penso a un concerto “mitico”, mi viene per forza di cose in mente il mio primo live vero e proprio, nel senso di tipologia di concerti che avrei poi iniziato a vedere e seguire. Era il 1996 (quindi 15 anni fa), prendo il bus da Crotone a Roma, dove mia sorella viveva, più grande di me e all’Università. Sai, ti metti da parte i soldi di paghette varie e altri traffici illeciti e vai… Era per il concerto di Neurosis e Unsane insieme, quindi insomma ne valeva la pena! Poverina, mia sorella mi ci porta, andando insieme sul Garelli da Centocelle a Roma Nord (tipo un’ora e mezza sui “sanpietrini”) e pioveva anche! E poi là… no comment… ricordo che salii anche sul palco per poi tuffarmi, cosa tipica da vhs di concerti e festival americani, ma non tanto tipica per Roma… infatti tutti si spostarono anziché prendermi! Bei momenti… Presi una fanzine al merch dei Neurosis, con tanto di citazione da “L’Anticristo” di Nietzsche, che andai a leggere, e poi finii per prendere filosofia all’Università pure io. Insomma, proprio quello che si intende un concerto fondamentale!

Ultima curiosità, più futile diciamo. Ho saputo da fonti affidabili che al Dal Verme fate i migliori cocktail di Roma. Ne avete uno in particolare che ha successo tra gli aficionados del locale?

Diciamo che siamo famosi per il nostro bar! In realtà è gestito un po’ con l’attitudine dei concerti: lo reputiamo uno dei lati “culturali” del posto. Molta gente rimane spaesata, perché quando entri e guardi tra le bottiglie c’è ben poco di conosciuto alle folle. Lavoriamo con distributori indipendenti e spesso direttamente con i piccoli produttori: specialmente per vino (tutta enologia naturale) e birre (solo produzioni di micro-birrifici e sempre linee dedicate a produzioni italiane). Il lato “cocktail” è quello più magico e alchemico: con Marziano, Francesco e Mario (i tre bartender che se avete fortuna trovate…) e i loro intrugli, dove miscelano robette da perdere la testa. Non c’è un menù o una carta, l’approccio è sempre dialogico e spesso si sperimenta su grandi classici. Io me ne tolgo fuori: so fare quei tre o quattro cocktail che mi piacciono (cosi posso farmeli quando voglio), ma quando mi vedete dietro al bancone, meglio chiedermi una birra o un vino!

Per drink speciali invece è capitato che abbinassimo cocktail a serate specifiche, ad esempio il “Rainforest”, fatto in occasione di queste serate organizzate da Mattioli e De Figuereido (aka Heroin In Tahiti) che appunto si chiamavano così. Un drink tropicale e piccantino che si abbinava perfettamente al mood della serata! Abbiamo anche pensato di fare un cocktail speciale per il Thalassa Festival: tocca andare sull’oscuro e il marittimo… nero di seppia?!?!? Vedremo…

Toni Cutrone e NO=FI Recordings