THE STAR PILLOW, Symphony For An Intergalactic Brotherhood

Symphony For An Intergalactic Brotherhood è la dimostrazione – molto difficile – che puoi dire qualcosa di interessante pur restando ancorato al genere che ti sei scelto. Che Paolo Monti basi Star Pillow su drone chitarristici è abbastanza chiaro ed è purtroppo palese che c’è un grosso problema di sovrappopolazione nel mondo dove si muove. Però il nuovo album funziona, merito forse del suo carattere “ascensionale”, come sottolinea la solita Boring Machines. O magari si tratta delle melodie e della luminosità, come già scrivevo nel caso di Invisible Summer: specie in “An Interstellar Handshake” – partendo dall’ambient – Monti tende a un post-rock molto fragile, che induce ad andare a sentirsi i soliti noti islandesi (Sigur Rós, Amiina e altri) alla ricerca di qualche somiglianza; diventa invece più triste e solenne sia in “My Dear Elohim”, sia in “From Dust To Stars”, ma soprattutto suona come se fosse un piccolo ensemble di archi e synth, sfruttando come logico l’effettistica per sovrapporre alcuni drone che non diresti nascere da una chitarra. È un’esplorazione delle possibilità del suo strumento già tentata con successo da altri, ma si torna al via di questo post: a volte è semplicemente la mano che fa la differenza e quella di Paolo sembra molto sicura. Insomma, non siamo nell’anonimato.