THE SOFT MOON, Criminal

The Soft Moon approda alla soglia del quarto album in meno di dieci anni: come nel caso del precedente Deeper, il nuovo Criminal si avvale della collaborazione del produttore italiano Maurizio Baggio.

In questo nuovo capitolo il cantante e polistrumentista statunitense Luis Vasquez mette a nudo la sua anima tormentata. Un lungo viaggio a ritroso verso il passato gli permette di ripercorrere i vari conflitti interiori che lo affliggono fin dall’infanzia e così di tentare di esorcizzare i propri demoni. “Burn” e “Choke”, poste in apertura, sono due scossoni violenti con cui Vasquez si scaglia contro l’ascoltatore. Immediato e senza troppi fronzoli il primo brano, dalla struttura destabilizzante e oscura il secondo. L’ombra inquietante di Trent Reznor fa la sua apparizione in diversi episodi del disco, riportando alla memoria il disagio e il senso di alienazione che si respirava nelle produzioni dei NIN tra la metà e la fine degli anni Novanta (di nuovo “Burn”, ma anche “Born Into This” e “Like A Father”).

“Give Something” vaga straniante in gelide atmosfere dark wave, con voce e synth che s’intrecciano creando un suono univoco. “The Pain” è un rigurgito futurista proiettato nel periodo post-punk, che poi cede il passo alle melodie di matrice shogaze di “It Kills”. “Young” s’immerge in una cupa pozzanghera di new wave ottantiana diluita su dei synth eterei. “Like A Father” è una danza ossessiva e martellante, sporcata costantemente da inserti electro noise. Spetta alla title-track avviarci al finale di questo viaggio straziante: un sinistro arpeggio accompagna la voce di Vasquez, attraverso un crescendo di turbolenze emotive, verso la chiusura. “Criminal” affonda lentamente come una lama fredda nella carne. Precisa e chirurgica. Un dolore profondo senza anestesia.