THE EX, 27 Passports

Non dovrebbe essere necessario stare qui a spiegarvi chi siano i The Ex, anche perché ne abbiamo parlato spesso. In questa sede ci limiteremo a dire che probabilmente dovremmo tutti augurarci di invecchiare come il gruppo olandese. Con alle spalle quarant’anni di DIY passati lontani da hype o mode, e a sperimentare con curiosità intrecci con linguaggi musicali “alieni” rispetto allo sferragliante post-punk da cui si era partiti, il rischio di finire in un’esanime “istituzionalizzazione” o del sembrare residui fuori tempo massimo è sempre stato relegato ben al di là dell’orizzonte visibile. E anche quando si allontanano, come in questo ultimo disco, dalle pulsioni più “sperimentatrici” e ritornano su coordinate più classicamente rumorose, lo fanno dimostrando da un lato di aver l’energia e la riottosità che serve, dall’altro di saper mettere a frutto anni di esperienze. 27 Passports è esattamente il disco che farebbe un gruppo postpunk/noise dopo aver ascoltato un sacco di roba afro. La arcinota collaborazione degli olandesi con Getatchew Mekuria, il jazzista etiope scomparso da poco, risale ormai a un decennio fa, ma è innegabile come abbia lasciato dei segni profondi, interiorizzati, nel suono attuale dei The Ex. Soprattutto a livello ritmico, a base di brevi intrecci chitarristici apparentemente semplici ma in realtà meticolosamente costruiti e che costituiscono il cuore dell’album, le tracce di quell’apertura verso il corno d’Africa non solo sono riconoscibili, ma hanno permesso al gruppo di dare un certo groove alle dinamiche dei pezzi. Un groove secco ma non squadrato che ben supporta andature alla Fugazi, dissonanze e rumorosità alla Sonic Youth e tensioni alla Unwound, e che soprattutto le rende inaspettatamente immediate, godibili. Ora inquieto o trepidante, ora rabbiosamente gioioso, 27 Passports è un album che coinvolge, diverte, fa incazzare, fa riflettere, e ci riconferma il quasi perenne stato di buona salute e la vitalità del gruppo olandese.