The Call

Ci sono quei dischi che hanno un potere magnetico, ti incuriosiscono e ti affascinano al solo sentirne parlare, prodotti unici e colmi di un loro potere seduttivo misterioso. E in quanto a unicità, fascino, mistero, The Call, a nome Henry Grimes Trio, ne ha da vendere!

Iniziamo dalla casa discografica, la ESP dell’avvocato Bernard Stollman, folgorato dalle sonorità free dei vari Ornette Coleman, Albert Ayler, Sun Ra, nei primi anni Sessanta in quel di New York. E che dà l’opportunità di registrare il primo disco a suo nome a uno dei grandi protagonisti di quella stagione, il contrabbassista Henry Grimes. E qui passiamo alle vicende, senz’altro avventurose e avvolte dal mistero, di questo grande artista ahimè morto poco tempo fa, possiamo dire per la seconda e ultima volta. La lista dei musicisti con i quali ha collaborato è impressionante per quantità e qualità: Anita O’Day, Bobby Timmons, Lee Morgan, Gerry Mulligan e Chet Baker, Art Farmer, Benny Goodman, Tony Scott, Sonny Rollins, Thelonius Monk, Lee Konitz. E poi la svolta, agli inizi degli anni Sessanta: Cecil Taylor, Don Cherry, Albert Ayler, Pharoah Sanders, Archie Shepp, Steve Lacy, fino a diventare il contrabbassista free per eccellenza. Un monumento della musica afroamericana che però misteriosamente scompare dalle scene alla fine del decennio: per oltre trent’anni è dato per morto, salvo poi riapparire miracolosamente nel 2002, senza più il suo strumento e in condizioni disagiate, ma con ancora una grande voglia di rimettersi in cammino, cosa che poi effettivamente avverrà. Nella sua prima vita, nonostante le numerose collaborazioni e il suo talento, Grimes ha a suo nome un solo album, proprio questo The Call, e ovviamente solo una casa discografica avventurosa e sperimentale come la ESP poteva dargli questa opportunità. Le peculiarità di questo disco, però, non finiscono qui. Curiosamente, la carriera di Grimes ha più volte incrociato le note e i suoni di uno strumento che nel secondo dopoguerra certo non era più così comune come un tempo: il clarinetto. Tra i musicisti con i quali il contrabbassista ha collaborato spiccano i nomi di Benny Goodman e di Tony Scott. E, sorprendentemente, di un altro clarinettista che fin qui abbiamo taciuto ma che è uno dei suoi compagni di avventura in The Call, Perry Robinson.
Figlio del compositore e folk singer Earl Robinson, cresciuto a New York in un ambiente liberal e naturalmente orientato verso le arti e la musica in particolare, Perry Robinson è uno dei rari clarinettisti “puri” degli anni Sessanta, cioè di coloro che hanno scelto e praticato il clarinetto come primo e unico strumento. Mossa assolutamente controcorrente, come abbiamo già ricordato, ma che non ha precluso al nostro una carriera interessante pur se di nicchia. Sicuramente poco conosciuto e non certo un virtuoso dello strumento, Robinson ha avuto il merito di trovarsi al momento giusto nel posto giusto. Suona con Archie Shepp in Mama Too Tight ma soprattutto partecipa a due grandi dischi dal respiro collettivo, Liberation Music Orchestra di Charlie Haden ed Escalator Over The Hill di Carla Bley. Non male per un clarinettista, che aggiunge alle sue frequentazioni album con Jeanne Lee, Annette Peacock, persino il gruppo rock alternativo The Fugs e operazioni soliste dedicate allo yoga kundalini e alla musica klezmer. Oltre a, naturalmente, questo The Call con Henry Grimes. I due hanno un profondo rapporto di amicizia nato a metà anni Cinquanta durante una jam session e sugellato nel 1962 proprio con l’esordio come solista di Perry Robinson, con il suo Funk Dumpling. Nel 1965, dopo il servizio militare, Robinson torna a New York e finisce per andare a vivere nel frizzante East Village proprio con Grimes e il terzo protagonista di questa nostra piccola storia, il batterista Tom Price. Amico di Robinson fin dai tempi di scuola e membro dell’Uni Trio con lo stesso clarinettista e il bassista Bill Folwell (anche lui nella stessa scuola!), Tom Price è stato un allievo di Alan Dawson e, rispetto a Grimes e Robinson, non vanta grosse collaborazioni, a parte concerti con Jaki Byard e un bel disco a nome del sassofonista Frank Wright con lo stesso Grimes al contrabbasso, sempre edito dalla ESP. The Call nasce durante il periodo di convivenza dei tre musicisti, in una zona dove abitano moltissimi jazzisti e si respira una grande energia: l’East Village a metà anni Sessanta. Ancora un particolare: talmente forte è il legame che li unisce che trent’anni dopo, quando Henry Grimes riemergerà dalla nebulosa nella quale è scomparso, si sarebbero ritrovati a insieme a suonare.

Il disco è un classico del free jazz di quegli anni. Batteria tumultuosa, contrabbasso irruento ma nitido e strumento a fiato libero di scorrazzare tra i flussi sonori impetuosi. Tre strumenti che dialogano da pari, a sovvertire di continuo i ruoli. Ma The Call ha alcune sue particolarità che lo rendono diverso, lo discostano in parte dai cliché del genere. Innanzitutto, come dicevamo, la presenza del clarinetto che da quelle parti si è visto raramente, a parte i bellissimi lavori di Jimmy Giuffre con Paul Bley e Steve Swallow. Ma lì le atmosfere erano pacate, a stretto contatto con suggestioni contemporanee, mentre The Call aderisce in pieno alla tipica estetica free. Tuttavia il clarinetto di Robinson, dal suono nasale e angoloso, devia le sonorità in una landa fino ad allora poco frequentata, una sorta di veemenza morbida, talvolta gentile, persino giocosa. Il suono complessivo è coinvolgente e mostra un alto tasso di interplay, probabile effetto della convivenza, con un’essenzialità unica, senza rivoli infruttuosi o superflui. Oltre la metà dei brani è fra i tre e i quattro minuti, mentre “For Django”, di Henry Grimes, è una suite ariosa, che lascia spazio ai singoli strumenti ma che vede anche melodie all’unisono e atmosfere sospese, quasi di impronta classica, unite a momenti più nervosi e con un contrabbasso portentoso, dallo swing eccezionale. L’altra composizione di durata estesa è quella che dà il titolo al disco, “The Call”, scritta da Robinson, che la suonerà nel corso di tutta la sua carriera nei contesti più disparati. È una sorta di breve richiamo, composto anni prima, provando a suonare insieme ad un calabrone e cercando di imitare il suono di altri insetti. “Walk On”, sempre dello stesso Robinson, ha striature bop, mentre “Son Of Alfalfa”, di Grimes, è il seguito di “Farmer Alfalfa” (un cartone animato che Grimes amava vedere, una specie di Braccio di Ferro!), sempre composta dal contrabbassista e pubblicata su Funk Dumpling, il disco d’esordio di Robinson.

In definitiva, The Call avrebbe meritato certamente più fortuna, come l’avrebbero meritata i tre musicisti, non fosse altro per aver registrato questo meraviglioso album. Dal quale emerge una musica che, pur essendo segnata profondamente dall’estetica del tempo, non ha perso bellezza e comunicatività, come solo i grandi dischi sanno avere. A fronte di un monumentale Henry Grimes, con il suo energico e allo stesso tempo limpido e ancestrale contrabbasso, sia Robinson che Price contribuiscono alla riuscita dell’opera con performance probabilmente mai più raggiunte nel prosieguo della loro carriera. Dei tre l’unico ad essere rimasto in vita è il batterista, mentre Robinson ci ha lasciato nel 2018.

“Henry was so beautiful, and we were so close. He was a genius on bass, and even with all his problems he was still able to play. He’s one of the unsung heroes of jazz”. (Perry Robinson)