Terraforma, 23-24-25/6/2017

Castellazzo di Bollate (MI), Villa Arconati.

Una volta che provi il Terraforma, non torni più indietro. E infatti eccomi di nuovo a raccontarvi di uno dei più interessanti festival di musica elettronica e sperimentale presenti in Italia. Giunto alla sua quarta edizione, il Terraforma, oltre ad aver ulteriormente valorizzato il bosco di Villa Arconati (proseguono i lavori di ristrutturazione del labirinto, al quale è stata data più visibilità rispetto alla scorsa edizione), è cresciuto dal punto di vista organizzativo: maggiore considerazione della time-table, pause tecniche tra un act e l’altro e un’area ristoro con una gamma di prodotti più ampia. Grande attenzione quest’anno è stata dedicata anche all’ampia zona campeggio e all’area “playground” dedicata ai bambini, poi tramutata in una confortevole zona relax.

Day 1

Il venerdì sera si inizia con Stíne Janvin Motland. La sua voce ha un potere magnetico che rapisce. La rapida serie di sillabe, per lo più incomprensibili, pronunciate dalla cantante norvegese, risuona in ogni angolo del labirinto e si insinua nella mente come il suono di una sirena stridula e ossessiva. È affascinante ascoltare il modo in cui le sequenze sintetiche lavorano in simbiosi con l’elemento vocale; dinamiche che mi ricordano moltissimo l’avanguardismo di due abili manipolatrici elettroniche: Maja Ratkje e Meredith Monk.

Sound performance coinvolgente e inedita quella del duo N.M.O. (composto dal percussionista Morten J. Olsen e il sound artist Rubén Patiño), che anima il labirinto con un set di trenta minuti particolarmente coreografico per la presenza di otto “ballerini” che si muovono in maniera sincronizzata, seguendo una stramba combinazione di beat da dancefloor portoghese, techno e ritmi incalzanti da parata militare. Nel frattempo, nell’area sound-system, GAS si prepara per quello che di lì a poco si rivelerà il live più disturbante (ovviamente nel senso buono del termine) della serata. I suoni scorrono in un continuum dream/ambient crepuscolare, addolcito da pulsazioni techno e accompagnato dalle immagini del bosco di Königsforst, luogo che ha ispirato GAS durante la realizzazione di Narkopop. Segue il set abrasivo e tagliente del techno producer di Detroit, Gerald Donald aka Arpanet: ci troviamo nel mainstage, ormai completamente invaso dal fumo e dai fasci di luce; contesto nel quale, poco dopo, si terrà il martellante live-set di Aurora Halal e quello successivo di Andreas Malik, noto ai più come Objekt, i cui suoni tellurici e disturbati andranno a chiudere la prima giornata.

Day 2

Spetta a Donato Dozzy inaugurare la seconda giornata del Terraforma con un piacevole rituale mattutino. Dopo un inizio dub morbidissimo, la selezione oscilla tra un hip hop destrutturato, riverberi ed echi di jazz che creano un’atmosfera ipnotica e quasi meditativa.

Decido di saltare il workshop sulla meditazione con Laaraji e la sessione pomeridiana di yoga con Lavinia prevista dal programma, in attesa che sul palco del main stage si presenti Rawmance. Le sue selezioni spaziano da un’ambient allucinata al downtempo, per arrivare a un’elettronica viscerale e acida destinata a sciogliersi con l’arrivo di Laraaji nell’area sound-system: un meraviglioso incontro fra lo spiritualismo etereo della new age degli anni Settanta, fatto di  reiterazioni circolari e trance-inducing, i suoni tradizionali del Gamelan indonesiano e i pattern brevi e ripetitivi del minimalismo americano (Terry Riley & Steve Reich). La performance sensoriale del musicista statunitense permea l’atmosfera di rituale senso di pace; ci rilassiamo, mentre Laraaji ripete in una sorta di mantra “let me see you shine. We connect our breathe, easy, open space”. Pur non essendo particolarmente incline alle pratiche di meditazione, mi stendo anche io e provo a ignorare le zanzare che continuano a punzecchiarmi o ad immaginare un clima più confortevole di quello in cui invece siamo immersi: caldissimo e appiccicoso. Ci spostiamo verso il palco principale dove Francesco De Bellis aka L.U.C.A. è pronto per il suo set pomeridiano: una miscela esplosiva di soul classico anni Settanta e forti connotazioni jungle. Bellissima la doppietta di  “In The Sun”, dal suo primo album “I Semi del futuro” (Edizioni Mondo, 2016), e “Anxur” dei compagni di etichetta Odeon.

È l’una, L.U.C.A. sta ancora suonando, ma è ora di avviarsi verso il “troppotondo” (struttura creata per ospitare workshop e lecture) per il primo talk presentato dalla Berlin Community Radio. Faccio per incamminarmi, quando improvvisamente mi giunge all’orecchio “Orientale” di Cristiano Malgioglio. Incredula, mi volto verso il palco per accertarmi che stia succedendo davvero, ed effettivamente è così.  Penso ad Orrore a 33 Giri, musica diversamente bella e a quella volta che descrissero Malgioglio come “il nostro Julio Iglesias della Trinacria”. Sorrido divertita per questo lato esotico della performance di L.U.C.A. e mi accingo ad ascoltare l’interessante confronto tra Aurora Halal e Ruggero Pietromarchi, rispettivi organizzatori del Sustain-Release Festival e del Terraforma.

Sono passate da poco le 19 e l’angolo del sound-system di colpo diventa una giungla di suoni tormentati con Rashad Becker, inizialmente previsto per le 13 ma poi spostato a causa di qualche inconveniente (storie di valigie smarrite…). Puntuale nella time-line del festival, arriva la violoncellista Julia Kent a incantare il pubblico di Terraforma. Ho avuto già modo di conoscerla e sentirla dal vivo altre volte, sempre in location piccole ed intime, perciò vederla sotto quell’enorme struttura geometrica in legno che è il palco principale, davanti ad una folla silenziosa, mi fa uno strano effetto. Ma lei sembra totalmente a suo agio, composta e pacata come sempre. È incredibile come, in qualsiasi contesto si trovi, riesca sempre ad isolarsi e a diventare un tutt’uno con il suo violoncello. Durante il concerto mi rendo conto che quell’intimità tanto cercata non è andata persa, ma anzi è facilmente raggiungibile anche in un evento come questo, dove il senso di comunità (inteso come voglia di esperienza comune), è fortissimo.

Mentre il sole tramonta sul bosco di Villa Arconati, Suzanne Ciani si prepara per il suo live; decisamente uno dei più affollati e suggestivi di questa edizione. Il suono del suo sintetizzatore Buchla 200 sembra percorrere tutto lo spazio del labirinto, così percepibile da avere la sensazione di poterlo toccare con mano… fino a quando l’impianto non decide di mollare il colpo ed esalare l’ultimo respiro.

Performance altrettanto pazzesca quella di KAFR, il visionario progetto di Rabih Beaini (Morphosis) e dei Senyawa, il duo indonesiano composto da Rully Shabara (vero animale da palco) e Wukir Suryadi con i suoi strumenti tradizionali. Tra ghigni e risate malefiche, i tre presentano una sorta di folle rituale musicale scandito da passi tribali e voci disumane intarsiate da suoni harsh-noise. Senza ombra di dubbio uno dei miei highlights di questa edizione di Terraforma.

Sono appena trascorse le 23, la notte è giovane e Mala è pronto a scaldare i corpi con una dubstep dai bassi potentissimi amplificati dall’impianto, un muro di casse capaci di stordirti e farti vibrare lo sterno e le tempie. Torno nel main stage, dove Ron Morelli, facendo esplodere suoni massicci e talvolta euforici, pone il degno sigillo a una giornata in climax ascendente quanto a gradimento.

Day 3

Domenica arrivo nel primo pomeriggio, mancando gli appuntamenti con il Tropic Disco Sound System e il live di Paquita Gordon & Ece Duzgit. Sono però in perfetto orario per l’inizio del vibrante set di John Swing Feat. David Soleil-Mon e per assistere al talk delle 15 con Suzanne Ciani presentato dalla Red Bull Music Academy. La “diva del diodo” ripercorre vari episodi della sua illustre carriera attraverso aneddoti divertenti , come quella volta in cui cercò di dare lezioni di synth a Philip Glass (ma purtroppo senza avere successo, It was just too opaque for him). Ci racconta poi delle sue prime esperienze musicali, quando per cinque dollari poteva avere accesso al Tape Music Center di San Francisco per esercitarsi con i primi sintetizzatori analogici, senza dimenticare di sottolineare quanto sia  importante per lei suonare dal vivo, immedesimarsi e “parlare” con il Buchla per poter analizzare le proprie emozioni al meglio e trasferirle in suoni. Suzanne Ciani è una donna dall’animo quieto ed affascinante; quando le viene chiesto un parere sul festival non esita a rispondere:  “I feel at home with people who love electronic music”.

Dopo il magma di emozioni scaturite dai ricordi della Ciani, è il turno di Andrew Weatherall, autentico talento della consolle. Il suo mix attraversa tempi e luoghi differenti, toccando i generi più disparati: dalla dark wave di Siouxie And The Banshees con “Cities In Dust”,  al rock di “John Coltrane Stereo Blues” dei Dream Syndicatedall’afro funk dei M’Bamina con “Kilowi Kilowi”, allo psych-krautrock di Klaus Dinger & Japandorf. Impossibile praticamente stare fermi. Tuttavia, perdo l’ultima parte del dj-set per partecipare al secondo talk pomeridiano con Rabih Beaini e Senyawa presentato dalla Berlin Community Radio“La voce è solo un suono che proviene dal mio strumento, e lo strumento è il mio corpo”, dice Rully Shabara, istrionico cantante dei KAFR. La conversazione verte intorno alla necessità di distaccarsi dalle classiche sonorità della tradizione indonesiana per dare vita a qualcosa di nuovo, in grado di fondersi perfettamente con le destrutturazioni ritmiche di Beaini. Il risultato è qualcosa che sembra tutto tranne che umano, come ho avuto modo di constatare durante il live della sera prima. La notte procede sul main stage con il duo Dreesvn, composto da Dynamo Dreesen e Sven Rieger.  I due si muovono tra energiche spazzolate techno e un’elettronica scura e profonda. Infine la bizzarra fusione di pop melanconico giapponese, reggae impollinato di ska ed estetica da “arcade game” un po’ retrò, pone il live della cantante Kiki Hitomi tra le più piacevoli sorprese di questa ultima giornata di Terraforma.

Sono stati tre giorni molto intensi e belli. Ogni suono percepito, dai rami che scricchiolavano sotto i piedi all’incessante frinire delle cicale, sembrava far parte del grande piano di questo festival: abituare l’uomo ad un senso del ritmo innato e selvaggio, lasciarsi andare ed entrare in sintonia con la natura che lo circonda. La “terraformazione” è compiuta.

Grazie allo staff del festival, Michela Di Savino e Delfino Sisto-Legnani per le foto.