TAU CROSS, Rob “The Baron” Miller

Tau Cross, foto di Nikki Shiers

Se al momento del debutto i Tau Cross rappresentavano una sorpresa oltre che un’incognita, con il nuovo Pillar Of Fire hanno confermato di essere una vera band con un suo stile ben definito e una visione d’insieme, tanto che il disco è entrato di prepotenza tra gli ascolti dell’anno in corso almeno per il sottoscritto. Abbiamo raggiunto Rob “The Baron” Miller per saperne di più.

L’uscita del primo album è stata una sorpresa, io stesso ho pensato: sarà un progetto estemporaneo o una band duratura? Per questo sono felice di parlare del vostro secondo disco e vedere che avete mantenuto l’attenzione focalizzata su questo progetto. Cosa ha riacceso la tua ispirazione dopo lo scioglimento degli Amebix e come hai coinvolto gli altri?

Rob “The Baron” Miller (basso, voce): Grazie mille, sono felice che ormai i Tau Cross siano considerati più di un semplice progetto estemporaneo, con tutto ciò che questo implica. Ho avuto questa opportunità quando gli Amebix si sono nuovamente “disintegrati”. Avrei potuto tenermi il nome e utilizzarlo per formare una nuova band oppure lasciarlo andare per creare qualcosa di nuovo. Era ovvio che, senza il coinvolgimento di mio fratello Stig, non sarebbero stati gli Amebix legittimi, quindi il passo più difficile è stato ricominciare tutto da capo per provare a costruire qualcosa di nuovo sulle vecchie radici. All’inizio mi sembrava impossibile riuscire a coinvolgere qualcuno, stavo letteralmente chiedendo ad amici e amici e nessuno accettava, il che è stato scoraggiante, ho anche dubitato di me stesso e della musica che stavo creando, fino a deprimermi per l’intera situazione.  A questo punto, è semplicemente accaduto che Away mi contattasse e mi chiedesse se stessi lavorando a qualcosa. Avevo registrato qualche canzone con Roy Mayorga, ma anche lui era uscito presto di scena, quindi Away è stato davvero il primo a mostrare interesse. In seguito si sono uniti Andy e Jon e le cose hanno cominciato finalmente a funzionare.

Se il debutto Tau Cross era un grower e ho dovuto far passare un po’ di tempo per riuscire ad assimilarlo e apprezzarlo in pieno, il nuovo – pur se mantiene la stessa formula di base – appare decisamente più a fuoco e organico, come se aveste perfezionato il modo di integrare e bilanciare i differenti elementi del vostro sound. Condividi questa impressione?

Credo che la cosa più difficile sia essere oggettivo quando parli della tua stessa musica. Per Pillar Of Fire le canzoni si sono materializzate mentre io e gli altri provavamo e registravamo idee in modo compulsivo dopo l’uscita del primo lp, quindi si sono trasformate in un disco in modo quasi non cosciente, abbiamo semplicemente osservato quello che avevamo e gli abbiamo dato forma. Il contributo di Andy e Jon è ciò che lo differenzia e che lo ha reso una sfida soprattutto per me.

Avete avvertito la crescita e l’evoluzione del vostro linguaggio mentre scrivevate il disco? Avete cambiato il modo di scrivere o l’approccio creativo rispetto al debutto?

Come ti dicevo prima, l’unica differenza è stata l’avere più persone coinvolte nello scrivere e registrare Pillar Of Fire, ma il modo di scrittura non è cambiato, come l’usare dropbox e il registrare a casa in modo diy. Quindi, il modo è rimasto lo stesso ma la scrittura è sicuramente cambiata.

Pillar Of Fire fa un gran uso di atmosfere malinconiche e oscure, come se un pericolo imminente avvolgesse l’ascoltatore brano dopo brano. Un po’ come quando si ascolta una storia attorno al fuoco e non puoi impedire ai tuoi occhi di controllare cosa c’è dietro alle tue spalle. È un’impressione personale o un effetto voluto?

Mi fa molto piacere sentire queste parole, credo che la cosa migliore che possa fare sia tentare di conferire alla nostra musica un’atmosfera particolare, il creare qualcosa che colpisca l’ascoltatore, che poi è la stessa esperienza che ho provato io con la mia musica preferita nel corso degli anni. Un cambio della coscienza in chi si accosta: questo è l’obbiettivo che spero di raggiungere, ovverosia il tentare di creare uno stato alterato attraverso ciò che creo, un’idea che spero di poter materializzare a un certo punto nella mia vita.

Anche l’artwork dà l’impressione che siate più sicuri di voi stessi, a causa dei molti colori e dell’immaginario utilizzati. Chi se ne è occupato e come è nato?  

L’artwork è opera di Costin Chioreanu, ha creato un poster per il nostro concerto al Roadburn che ci ha molto soddisfatto, per cui gli abbiamo chiesto se voleva farsi coinvolgere nel nuovo album. Costin prende il suo lavoro molto seriamente e riflette molto sui testi e sulla musica, finché non si forma un’immagine mentale o un’idea che la rappresenti al meglio, è stato un onore lavorare con lui.

Tau Cross, foto di Nikki Shiers

Ti piace parlare dei tuoi testi o preferisci che ogni ascoltatore trovi una sua via al loro interno? C’è una visione o un’idea che unisce queste storie differenti?  

Mi piace che ciascuno si confronti con i testi, per me sono tanto importanti quanto la musica, tanto che un aspetto non può prender vita senza l’altro. Quindi, il mio obbiettivo è sempre stato quello di comporre un paesaggio e poi animarlo con figure e simboli, così da creare un’interazione con l’ascoltatore. Molta della musica con cui sono cresciuto aveva testi molto forti e io ho costruito una mia strada per seguire questo approccio, se poi il risultato corrisponda alle mie intenzioni è un’altra questione.

Ad agosto avete suonato al Disintegrate Your Ignorance Festival. Avete intenzione di tornarci a trovare nel prossimo futuro? 

Siamo stati davvero benissimo. È stata una sorpresa essere portati in una zona così bella e essere trattati così bene, è stato davvero un peccato che la pioggia abbia impedito di suonare all’aperto. Pochi giorni prima eravamo ad un festival in Finlandia e adoro starmene a suonare sotto un cielo ricoperto di stelle, è molto primitivo. Di sicuro torneremo in Italia se invitati.

Com’è preparare un tour dei Tau Cross? Vi riunite per provare un po’ prima di partire? Non deve essere troppo facile visto che vivete così distanti o magari l’esperienza rende tutto più facile.

Oh man, il mettere insieme musicisti provenienti da tre nazioni differenti è il nostro eterno problema. Provare e suonare è una sfida, sia economica che come logistica. Questa volta, ho chiesto agli altri di volare fino a Glasgow e li ho prelevati lì per passare cinque giorni a Skye, a provare i pezzi e stare insieme, il che si è trasformato in un momento fantastico. Non abbiamo un manager o  un tour manager, ma questa volta abbiamo contattato un amico del bassista Tom Radio e ha fatto un lavoro fantastico nell’organizzare il tour, quindi, spero lavoreremo ancora insieme in futuro.