Suono Prossimo, 21/2/2015

Simon Balestrazzi

Pietrasanta (LU), Chiostro di Sant’Agostino e Lo Studio.

“Suono Prossimo” è una rassegna organizzata da Lisca Records (la label dei Vipcancro) e Nub Project Space, due delle poche realtà che in Toscana si interessano alle musiche presenti italiane e internazionali. La cornice è quella trecentesca del Chiostro di Sant’Agostino a Pietrasanta, in provincia di Lucca. La Sala dell’Annunziata, che ospita i concerti, somiglia alle varie aule conferenze dei palazzi storici della regione, ma ha un aspetto più castigato. Alle spalle del palco affreschi a soggetto religioso contrastano con gli allestimenti dei live set, donandogli un’aria austera e vagamente celestiale. Se a ciò aggiungiamo che lo spazio è anche sede del Museo dei Bozzetti (con tanto di mezzibusti decisamente più giovani della struttura che li ospita), l’effetto postmoderno è assicurato, anche perché stasera il primo a suonare è Simon Balestrazzi, uno che di postmodernità se ne intende.
Oltre a lui ci saranno Giovanni Lami e gli Umanzuki, questi ultimi in una location off, “Lo Studio”, suggestivo ex-atelier convertito in osteria pieno di chincaglierie vintage e annesso giardinetto liberty.

A presentare i concerti è Vittore Baroni, ma non accusiamolo subito di anacronismo: il pubblico di queste serate è popolato da bambini, pensionati e avventori casuali, quindi fornire delle coordinate, seppur blande, può essere d’aiuto, soprattutto in un contesto in cui la sola parola krautrock potrebbe suonare oscura, se non addirittura buffa. Ma torniamo a noi, il primo a salire sul palco è Simon Balestrazzi, che da queste parti non ha bisogno di presentazioni. Lo avevamo intervistato qui in una sorta di macchina del tempo che partiva dagli esperimenti con i T.A.C. nei primissimi anni Ottanta e arrivava a progetti più recenti come Dream Weapon Ritual (in duo con la cantante/performer sarda Monica Serra) e Candor Chasma (con Corrado Altieri, altro nome interessante della scena elettronico-sperimentale cagliaritana).
Il suo solo set si presenta sin dall’inizio come un ufficioso rituale in cui si andranno a celebrare sogni ed incubi di ballardiana memoria: un tavolo, quattro luci e una tovaglia rossa al centro di un abside disadorno. L’intro e l’outro sono affidati a un sottofondo di nastri preparati con la voce di Brion Gysin a una conferenza sulla Dream Machine.
Il materiale decontestualizzato ha un’andatura marziale che inaugura crescendo calibrati e geometricamente definiti, dove i bassi si verticalizzano in un magnete analogico di rara intensità. Atmosfere soverchianti si materializzano poi nell’uso di strumenti autocostruiti con metalli amplificati, in cui lo sfregamento dell’archetto irrompe nel magma armonico, creando contrasti dal sapore feticciosamente post-industriale. Il risultato è senz’altro coinvolgente (ma un filo penalizzato dai volumi dell’impianto), cibo per la mente di chi ama trafficare con un certo immaginario distopico in chiave mistica o con quella heaviness lavorata di ring modulator che ritroviamo nella piena maturità dell’ultimo Dream Weapon Ritual, Ebb & Flow, e nel duo con Z’EV, Reverbalizations, usciti l’anno scorso su Boring Machines. Musica per un’era antropocenica, spiritualmente radicata nella bellezza atavica e sperperata della sua terra d’adozione, la Sardegna.

Giovanni Lami presenta un set decisamente più meditativo, che rispecchia l’lp uscito a maggio su Kohlhaas मेम वेर्म [mema verma]. La strumentazione è ridotta all’osso: uno shruti box basso usato in maniera non convenzionale, intervenendo sulle ance e lasciando libero il respiro del mantice, registrandone le coloriture noise e gli sfiati con un Revox. Il nastro è teso fino al limite sinistro del palco, a dilatare il tempo del loop. L’atmosfera che emerge è raccolta e spirituale, anche nella seconda parte, dove lo shruti è suonato in una maniera più consueta ed è accompagnato da tenui suoni digitali. Un live essenziale e intimo, in cui lo studio acustico di un unico strumento si avvicina a quell’ idea di microsound sviluppata a suo tempo da band come gli Nperign o dall’ex-Fluxus Takehisa Kosugi e che richiama alla mente i lavori alla fisarmonica di Pauline Oliveros.

Poco dopo ci spostiamo all’Osteria Lo Studio, dove gli Umanzuki stanno preparando il loro nuovo set, che a giudicare dalla strumentazione si preannuncia a latitudini un po’ lontane da The Tropical Nature Of Tiaso, uscito a ottobre su Lemming/Hysm?/Spettro Records. Oltre alla batteria, già sparita da tempo, i tre hanno eliminato anche la chitarra per lasciare campo libero a testata e filtri rigorosamente analogici. Si parte subito con frequenze altissime, che vanno dritte agli occhi, ma sembrano non infastidire chi è lì per gustarsi la zuppa di cipolle. Dalla batteria elettronica emerge una techno dissezionata e ricomposta in pattern asincroni, a ribadire un’ossessione che nell’ultimo anno sta caratterizzando gran parte delle musiche giovani un po’ ovunque.
Se The Tropical Nature Of Tiaso destrutturava e centellinava in maniera del tutto anomala discorsi di gente come Heroin In Tahiti e Cannibal Movie, rimaneva ancora infetto da quella febbre malarica che ha caratterizzato gli episodi più interessanti della cosiddetta Italian Occult Psychedelia. Invece ora ogni residuo acido sembra assorbito da un riduzionismo refrattario che li collocherebbe vicini agli ultimi Starfuckers/Sinistri, salvo poi attualizzarsi in un’attitudine sonora accostabile più al giro Haunter Records che al selvaggio sperimentalismo dei bolognesi. La coerenza col passato rimane probabilmente l’atomizzazione di ciò che rappresenta il fenomeno del momento, che siano l’hauntology italiana o i fantasmi della Warp.

Una serata emblematica di quanto accade in Italia da un po’ di tempo a questa parte e che rispecchia in pieno lo spirito della rassegna, con uno sguardo privilegiato sulla Toscana (oltre agli Umanzuki il programma include Vipcancro, componenti dei Metzengerstein, Gianluca Becuzzi e lo storico sassofonista Edoardo Ricci), fra traiettorie elettroacustiche (Enrico Malatesta, Luciano Maggiore, Michele Spanghero, Andrea Borghi) e sperimentalismo oscuro e caustico (Balestrazzi).