STAER, Daughters

Staer

Disponibile in vinile per l’etichetta d’oltralpe Gaffer Records e in formato cd per la londinese Horse Arm, il secondo album del trio che viene dalla Norvegia è lavoro degno di nota.

Già l’esordio omonimo dello scorso anno aveva colpito per la franchezza con la quale si esercitava in campi free-noise e math, con cavalcate a metà tra il metallico e lo psichedelico senza essere niente di tutto ciò. Qualità che in Daughters vengono affinate e il discorso si fa ancora più interessante. Il basso è tellurico, praticamente sludgy, le chitarre ricordano i Don Caballero più furibondi e il drumming è potente e velatamente free-jazz nell’impostazione. L’unico limite che un gruppo del genere può avere è quello di risultare un pelo ripetitivo, visto che il canovaccio è il solito del pezzo strumentale che va su e giù come un’altalena impazzita. I ragazzi però non sono degli sprovveduti e sanno essere sempre freschi e fantasiosi, la doppietta di “Daughters” è un frullato di cacofonici saliscendi chitarristici che fa venire un tremendo mal di testa, e quel sax in lontananza tradisce chiaramente un’impostazione free (ancora). La parte finale poi è vera epifania hard. “One Million Love Units” sembra nata invece da una relazione incestuosa tra Man Or Astroman e Unsane, immaginate di incontrare un marziano che cammina impaurito tra i sobborghi newyorchesi, un incubo il suo, e il pezzo va da sé (mostruosamente bello). Fanno da contraltare la saltellante “Neukölln”, altra take che non fa prigionieri, e la chiusura di “Future Fuck” (che titolo!), in contatto con gli alieni pure questa, col sax (suonato dall’ospite Kjetil Møster degli Ultralyd) che fa a cazzotti nella furiosa tempesta della sei corde. Cos’altro aggiungere? I tre sono talentuosi, io ce li vedrei bene anche nel roster della Cuneiform Records, per dire, ma al momento va bene così.

Un ultimo avviso, che è più un desiderata rivolto ai promoter: fateli suonare anche da noi.