Sta per incominciare il NODE Festival, a Modena – intervista a Filippo Aldovini

NODE Festival

Ci facciamo due chiacchiere con Filippo Aldovini, che ci racconta com’è nato il Node Festival, di cui è direttore, come si è sviluppato e anche di chi vorrebbe ospitare nelle prossime edizioni. Per lui parole-chiave come progettualità e internazionalità sono estremamente utili per continuare a fare proposte culturali di un certo peso. Buona lettura.

Allora Filippo, parlami un po’ di come avete pensato ed assemblato il programma di quest’anno. Che idea c’è esattamente dietro questa nuova edizione?

Filippo Aldovini: L’edizione di quest’anno è stata costruita attorno a due colonne portanti: da una parte la mostra di Kurokawa, “al-jabr”, visitabile alla Galleria Civica di Modena fino al 24 febbraio 2019, e dall’altra il live di Ben Frost, entrambi in cantiere da molti mesi. Parallelamente è stato fatto un lavoro per completare il programma che ha riguardato non solo la ricerca degli altri artisti, ma anche degli spazi, ricerca che portiamo avanti di pari passo perché per noi è fondamentale il rapporto tra luoghi e live.
L’idea dietro al festival è un po’ sempre la stessa, ovverosia creare un ponte tra il mondo dell’arte visiva e quello delle arti performative, con un particolare focus sulla musica suonata dal vivo. Quest’anno ci sono alcune tematiche sorte in maniera abbastanza spontanea, come il rapporto uomo-macchina che è presente dal lavoro di 2501 fino alla musica di Ben Frost, il tema della natura e di una certa estetica giapponese che si ritrova nell’arte di Ryoichi Kurokawa e di Hiroaki Umeda, come il concetto di wabi-sabi, di bellezza nella fragilità o del kintsugi. A dire la verità, non abbiamo un vero e proprio tema, anche se di questi tempi è un po’ una moda, ma cerchiamo semplicemente di restare fedeli alla missione iniziale.

Quando nasce il festival e come cresce col passare degli anni? Difficoltà, sorprese, fatiche?

Il festival è nato nel 2008 e in questi dieci anni è cambiato radicalmente. Le prime edizioni fino al 2014 si sono tutte svolte alla Galleria Civica fatta eccezione per l’edizione del 2012, che a causa del terremoto ci fece spostare ai Giardini Ducali, e quella del 2013 nel quale ritentammo la formula all’aperto. A partire dal 2016, dopo un anno di stop forzato per problematiche gestionali dovute ai rapporti con le istituzioni che sostenevano il festival, abbiamo dato vita a una formula itinerante spostandoci ogni giorno in una location diversa. Un grande sforzo organizzativo che però ha ripagato sia in termini di soddisfazioni personali che di pubblico. Dal 2016 abbiamo anche introdotto l’ingresso a pagamento, sia per sperimentare un po’ il mercato ma soprattutto per supportare la crescita strutturale del festival. Un cambiamento importante che ci ha consentito di dare anche più valore agli eventi. Le difficoltà sono state infinite, se dovessi elencarle non basterebbe un sito intero, ma tutto è sempre stato ripagato con grandi soddisfazioni. Diciamo che fare quello che facciamo non è sempre rose e fiori, ma lo si fa per una sorta di missione e vocazione. Per ora si continua così, si fa, tentando di ridurre al minimo le difficoltà.

Come risponde Modena al Node? Ai concerti vengono anche persone fuori città, giusto? L’Emilia Romagna è da tempo una regione nella quale ai concerti si va.

Modena risponde bene. E il pubblico in generale risponde bene. Questo perché non lavoriamo solo in un ottica locale e nel momento in cui pensiamo agli eventi lo facciamo nel modo più aperto possibile, quasi internazionale mi verrebbe da dire, con una sorta di filosofia act local, think global. Non per risultare esterofili, ma avere uno sguardo verso l’esterno ci permette di raccogliere frutti anche a livello locale. Il fatto che NODE sia nato poi in Emilia-Romagna, terra notoriamente sensibile a questo tipo di proposte, non può che aiutarci. Io stesso sono cresciuto frequentando il vecchio Link, il Maffia, andando al Netmage… per cui NODE stesso è figlio di queste esperienze e mi piace credere che ci sia una linea di continuità con tutto questo.

Filippo Aldovini

È chiaro che un festival come il vostro non cerca i grandi numeri, ma punta a presentare al pubblico una programmazione più di ricerca, meno classica del solito. Ci sono dei modelli di festival che apprezzi in maniera particolare?

Come ho detto prima, quando pensiamo alla ricerca non guardiamo solo all’aspetto musicale e artistico, ma anche alle modalità di comunicazione con il pubblico, alla fruizione degli eventi e ai luoghi.
I grandi numeri non li abbiamo mai cercati, ma rispetto ad anni fa c’è stata una bella crescita, questo sì. E penso, ad esempio, alla mostra di Zimoun nel 2016 e a quella di Kurokawa di quest’anno, che sono state visitate da svariate migliaia di persone. Sul fronte dei singoli eventi certamente conta anche la capacità di capienza delle location, alcune molto piccole come il Planetario o il Teatro Anatomico, ma luoghi più grandi come il Teatro Storchi riescono comunque ad attrarre molte persone. Per un festival che lavora su un certo tipo di contenuti è comunque un traguardo notevole.
Il riferimento resta sempre l’Unsound, un modello non tanto per i contenuti quanto più per il formato e il taglio artistico legato alla ricerca, per il programma estremamente articolato e le raffinatissime produzioni.

Quali sono gli artisti che vorresti avere come ospiti per le prossime edizioni?

Questa è una domanda non facile. Tra l’altro proprio recentemente ho dato uno sguardo a tutti gli artisti delle passate edizioni e la sensazione è stata piacevole, perché mi sono reso conto che molti dei nomi che amo di più siamo riusciti a portarli a Modena.
Un desiderio che spero un giorno di riuscire ad esaudire è quello di coinvolgere Sakamoto, magari in un progetto speciale. Tra gli altri ci sono Colin Stetson, gli Stars Of The Lid, i quali – anche se non producono dischi da anni – per me restano un riferimento assoluto per un certo tipo di ambient. Poi sul fronte più pop, Bibio, magari con i suoi progetti più sperimentali (ma sembra che sia impossibile prendere contatti con lui e farlo suonare dal vivo) o Julia Holter, che mi piace molto.
Nell’ottica della multidisciplinarietà, una direzione su cui mi piacerebbe investire maggiormente in futuro è quella delle produzioni, ovverosia progetti unici e speciali che vengono commissionati ad hoc da/per NODE come il progetto residenziale SOUND/SYSTEM tra Nicola Ratti e Dakim, che abbiamo organizzato nel dicembre 2017, o la collaborazione tra 2501 e Deantoni Parks, pensata per l’evento di anteprima del festival quest’anno. Chissà…