ST.RIDE, Microstorie

Microstorie
Microstorie

Emarginati per scelta. Sì, non c’è definizione migliore: il duo genovese composto da Maurizio Gusmerini ed Edo Grandi è una delle realtà italiane più felicemente ai margini in cui possiate imbattervi. Nessuna concessione-ruffianeria a scene o pseudotali, nessun ricorso a iconografie facili per catturare il webnavigante pigro e distratto, poche se non pochissime uscite su label di altri (si sono autoprodotti in pratica gran parte dei lavori). Seri cultori di un senso dell’assurdo alimentato a colpi di humor bislacco degno di un Topor, gesto libero e una mai rinnegata natura artistica diy, hanno saputo costruirsi nel tempo un mondo a propria misura. Musicalmente devono sicuramente qualcosa alla On-U Sound, ai Dome e alle decine di sperimentatori elettronici casalinghi o meno che in anni recenti l’entusiasmo revivalista ci ha riproposto con ristampe e compile celebrative varie (vedi ad esempio la serie dei box della Cherry Red “Close To The Noise Floor”). Unica vera costante un sentimento di compostezza e ambiguità simile a una linea di galleggiamento, una cosa che torna sempre nelle loro produzioni e che intride l’esperienza d’ascolto di un mood preciso. “Microstorie”, lo dichiara già il titolo, ha una natura frammentaria, episodica. I quattordici brani dell’album non hanno grossi svolgimenti ma la materia è tutt’altro che chiusa in sé stessa. C’è un senso di cerimoniale sinistro nelle melodie luminose che sentiamo affiorare qua e là e un buon contrasto tra le componenti flessuose-metalliche e le loro controparti rumoriste, peraltro sempre molto contenute e di natura residuale. Siamo nel subconscio con tutto questo fluire di aperture atmosferiche, forme che si disperdono e poi ricompattano dondolando, brevi climax. Un subconscio che a me ha ricordato le ultime prove su Touch dei tedeschi Strafe F.R. (sampledelia umbratile e dalle flaccide imperfezioni) ma che non mi stupirei veder ricondotto invece da altri alla fatua contemporaneità che si trova in lavori promossi da etichette come PAN, Hyperdub e compagnia: un tutto aperto che finisce per obnubilare qualsiasi tentativo di identificazione identitaria. Forse gli St.ride cantano proprio questo, l’impossibilità di diventare sé stessi in un mondo, quello dell’homo cyber, attraversato da trilli, loghi, immagini che sessualizzano le merci a getto continuo. O forse non gliene sbatte nulla di tutto ciò e semplicemente sono in dialogo con la loro mente erratica attraverso la manipolazione di sample e quant’altro. Valutato il lavoro guardando con un occhio il resto della discografia non posso che dirne bene. Magari non lo metterei proprio nella rosa dei loro dischi più validi, ma quel che è certo è che non manca nulla a Microstorie per intrigare. Unica prerogativa: ascoltatelo tutto d’un colpo, da un impianto decente che vi permetta di cogliere l’eleganza della produzione.