SPANO., II

Secondo volume per l’hip-hop strumentale di Stefano Fano Roman e Paolo Spaccamonti. Una Torino che da Love Boat si è spostata a CÆR, in un insieme di connessioni, label, produttori e musicisti che fanno dei movimenti sotto la Mole spesso le produzioni più intriganti d’Italia.

Le quattro mani e le due menti di Stefano e Paolo si uniscono all’insegna della ricerca del groove, portandoci letteralmente a spasso per gli otto brani del disco, per quasi 20 minuti di durata. “Both” sembra iniziare da fischi che si lasciano sopraffare da un basso largo e fagocitante, sul quale tornano poi acuti e impazienti a coprire le voci campionate, prima di un predicatore e poi di un coro, poi di una cantante soul. Un brano che letteralmente squarcia il silenzio e che coniuga tensione e profondità nel migliore dei modi, utilizzando gli ingredienti raccolti, elaborandoli e miscelandoli ai propri strumenti e alla propria idea di suono. “Harmo” spinge invece su bassi inframezzati da una linea melodica ciondolante e mediorientale, colpendoci e facendoci letteralmente girare su noi stessi. I suoni si muovono in maniera circolare, gli strumenti perdono la loro personalità diventando una costruzione a più livelli, aerea e avvolgente, alla quale manca soltanto l’apparizione di una voce tremebonda per chiudere letteralmente il cerchio. Ma è spesso così nell’hip-hop strumentale, solo dopo qualche viaggio l’assenza della voce smette di essere un problema per la nostra testa, così abituata a immaginare rime pastose su questi voli strumentali. Un brano come “Derus” potrebbe essere letteralmente aggredito da un Tyler the Creator periodo “Yonkers”, ad esempio, e la sensazione è quella di essere a tratti all’ascolto di un lavoro in fase di costruzione. Il beat lento di “Heta” e l’atmosfera generale sembrano essere pronti per voci importanti, in una fucina di suoni che comprendono blues, dub e soul. E allora tutto funziona, equilibrandosi con il nostro interno e proiettandoci le nostre ombre personali, come un Bim Sherman nelle stanze dei brani, letargici ed acide backrooms come “Leco” e “Morge”. “Sirius” unisce la chitarra di Paolo Spaccamonti a una tromba, ai beats e a un campionamento vocale in un preciso istante che sembra essere quello dell’unione fra la musica jazz e una nuova via, come il maestro Keith Edward Elam aka the Gifted Unlimited Rhymes Universal ci insegnò più di trent’anni fa.
Semplicemente delizioso, da far girare e rigirare.