SIX FEET TALL, Be Grave With Your Life

Tornano anche i Six Feet Tall, formazione di Perugia imparentata con Cayman The Animal, Die Abete e Northwoods. Chi ci segue ricorderà che avevamo già parlato del loro debutto su Uà Records con un rumoroso incrocio tra postcore di casa Dischord e noise newyorkese (Unsane su tutti). Prima di arrivare alla musica, vale la pena sottolineare il riuscito connubio tra l’artwork a cura di Alessio Marchetti dei Rope, il video di “Do/Don’t”, curato da Edoardo Genzolini, e i testi mai troppo lineari che mascherano storie e situazioni reali o potenzialmente tali. L’insieme di tutto questo ci catapulta in un immaginario di violenza latente e disagio sociale, dentro a storie di emarginazione e speranze disattese, ipocrisia e malintese dinamiche sociali; per assurdo, però, si scorge sempre una breve lama di luce, un momento di felicità e di leggerezza sottolineato da melodie che si intravedono sotto la superficie. Un’impressione che prende forma compiuta nella finale “Fear Enough”, venata da una sorta di malinconia amplificata dalle armonizzazioni e dalla voce, summa di tutte le contraddizioni contenute nelle sei tracce: “I guess I’m a soul trapped inside a body, I didn’t ask to be born, still afraid to die though” (citazione, riadattata, della comica Jen Kirkman). Ecco, l’essenza di Be Grave With Your Life sta tutta in questa incapacità di scegliere, in questo trovarsi bloccati dietro una maschera eppure, in qualche modo, sentirsi affezionati e connessi ad essa. Proprio i contrasti apparentemente insolubili sono alla base anche della ricetta sonora messa in piedi dai Six Feet Tall, un magma in perenne rischio di esplodere ma sempre miracolosamente in grado di reggersi in piedi tra feedback, bordate di distorsione, linee sghembe e melodie claudicanti che, per qualche strana ragione, “tengono” fino alla meta e portano l’ascoltatore sano e salvo a casa. Tale Dave Curran si è occupato di mixare il disco,  riannodando i legami con le proprie radici, cioè la base da cui la band parte per realizzare qualcosa di attuale e fresco, così da far emergere un’ulteriore contraddizione su cui poggiare l’intero lavoro. Letta così sembra quasi un disco difficile da digerire, ostico: in realtà fila via liscio con la capacità di fissarsi in mente fin dal primo ascolto. Con i cugini Northwoods, Die Abete e Cayman The Animal, cui vanno aggiunti i recenti The Love Supreme e Rope, si inizia a delineare una ragnatela che lentamente prende forma tra i rami del panorama italiano e, se non sbagliamo i conti, qualche altro filo è in procinto di venire steso a breve. Prima o poi bisognerà approfondire e tracciare una mappa di questi nuovi suoni instabili.

Tracklist

01. Paleolithic Before Paleo Was Cool
02. Do/Don’t
03. Regaining Soil
04. Hold My Mask
05. Still Waters Are Still Assholes
06. Fear Enough