SHE SPREAD SORROW & LUCA SIGURTÀ, The Grimorian Tapes

Dopo i Junkie Flamingos e il disco di She Spread Sorrow (Orchid Seeds), la nostra coppia preferita torna su Helen Scarsdale, etichetta del buon sodale Jim Haynes, ed è pronta a farci letteralmente paura. Già, perché fin dall’iniziale “Grimoire” Alice e Luca sembrano utilizzare gli elementi naturali e atmosferici per farci correre brividi lungo la schiena, in un’atmosfera buia e sacrale.

Prendono ispirazione dal Black Pullet, un grimorio francese del XVIII secolo scritto da un soldato dopo che le sue truppe furono sterminate dai beduini nel deserto. Lì un vecchio lo condusse in uno spazio segreto all’interno delle piramidi, facendolo uscire erudito da un testo scampato all’incendio della biblioteca di Alessandria. Quel grimorio insegnava come condurre il potere di anelli e talismani e, forse, in queste tracce elaborate da Alice e Luca stiamo per essere messi al corrente di queste tecniche.

Di certo, ascoltando l’elenco di “Initiatory”, abbiamo abbandonato la luce esterna e le regole terrene, venendo inchiodati all’ascolto di nastri crepitanti, oscuri e ripetitivi, loop che ci fanno sempre più scivolare in un’oscurità richiesta e gestita dai musicisti. “The Stairs” è pura seduzione maligna, con la voce mai così suadente di She Spread Sorrow e i suoni di una melodica o di una piccola tastiera a creare magie d’antan. Si sentono i fiati infernali e la sensazione, ancora una volta, di aver varcato una soglia senza possibilità di tornare indietro. Sembra di essere in una pellicola di Peter Strickland o di Kenneth Anger o, per i crepitii e la mancanza di immagini, alle prese con le cigarette burns di John Carpenter.

Il disco prosegue ispiratissimo e senza un attimo di sosta, costringendoci a mantenere alto il livello di attenzione quando a tratti vorremmo fuggirne. È un gioco di resistenza e di brivido che richiama “Tesis” di Alejandro Amenábar, quando la registrazione di una tortura efferata era l’unico medium sopportato dalla protagonista davanti all’orrore. Qui, al contrario, non c’è brutalità ma trasformazione magica, materia nella quale attenzione, fiducia e sorpresa sono indispensabili. Nulla risolve gli arcani; si rimane intrappolati in un loop come in “Babele”, dove le interferenze non ci permettono di posizionare gli interventi audio, facendoci smarrire in un rivolo dub stregato.

“Kirtan” riprende nel titolo la pratica devozionale tramite il canto, trasportandoci in un Medio Oriente che risulta anch’esso stregato e oscuro, soprattutto per il taglio vocale di Alice, mellifluo e maligno nel medesimo istante. Il recitato di “We Worship You” sembra provenire dall’ugola dei Cenobiti di barkeriana memoria e galleggia su un suono spaziale e oscuro, che rientra sì in un’orbita industriale ma in maniera ancor maggiore in una musica ritualistica e di passaggio, di evocazione. Da capire, semmai, a questo punto, quale sarà il nostro ruolo: reporter, ascoltatori, cavie, vittime? Non ci aiuta di certo “Me And I”, soliloquio oscuro ricco di groove, se per questo possiamo intendere un aggirarci in una landa oscura e sulfurea, dalla quale suppurano fumi in grado di creare dipendenza nell’ascoltatore. Il “Dharani” finale recitato da Alice su un organo potrebbe aver rimesso in equilibrio quanto smosso; è ancora presto per dirlo, ma per il momento The Grimorian Tapes è uno dei viaggi più oscuri e immersivi ascoltati negli ultimi tempi, in grado di isolarci dal resto del mondo per farci volare altrove.

The Grimorian Tapes è un disco in grado di conquistare gli amanti della bassa battuta quanto delle lande più sperimentali; roba che, se fosse capitata sotto mano al Tricky di 30 anni fa, la Giamaica sarebbe finita di corsa all’inferno, altro che a Roma.