SEDITIUS, Misplaced

Misplaced

I Seditius sono rimasti in quattro, una sola chitarra e un bel cambio di direzione, almeno a giudicare da questi nuovi brani, più asciutti e rilassati, in qualche modo meno incazzati, ma non per questo meno punk nell’animo. Si direbbe che, da qualche parte lungo il viaggio, la band abbia sterzato verso il blues, ma senza abbandonare le proprie radici e la propria sfrontatezza, così da finire in uno strano universo in cui il postcore di scuola Dischord si incrocia senza problemi con il Sunset Strip, il minimalismo noise si sposa con il punk texano e tutto si mescola senza soluzione di continuità in un continuo cambio di prospettive tenute insieme dalla già citata attitudine bluesy. Detta così sembrerebbe una cosa folle e anche un po’ insensata, eppure il risultato di questa mutazione sonora non fatica troppo a farsi perdonare l’apparente perdita in termini di energia e incazzatura. Certo, la botta di Carne Da Macello è lontana e le coordinate sembrano aver subito una rivoluzione copernicana, eppure la base del tutto resta sempre un miscuglio di hardcore e rock’n’roll, solo che sono differenti le accezioni degli stessi che entrano in gioco e si scontrano in questo Misplaced. Se i Bulemics rifacevano Faster Pussycat e Mötley Crüe, i Seditius ne sembrano in qualche modo seguire la strada al netto di intemperanze e rissosità, piuttosto guidati da uno spirito asciutto in cui si procede per sottrazione e si lasciano a casa feedback e saturazione. Non si tratta, però, di una versione addomesticata o piaciona di se stessi, quanto di una differente prospettiva in cui l’ossatura dei brani è lasciata in bella vista, in tutta la sua semplicità e schiettezza, senza bisogno di sfoggiare i muscoli (da qui l’idea della Revolution Summer che rinnega la violenza della prima ondata) o coprire il tutto con bordate di distorsione. Un bel salto senza rete, non c’è che dire, ma anche una solida prova di personalità e di coraggio nel seguire le proprie idee. Si attendono sviluppi.