SECRETS OF THE MOON, Black House

Sun, già vecchio di 5 anni, è un disco difficile da dimenticare, perché mostra un gruppo black metal in mutazione, sofferente: i pezzi sono torbidi, un ibrido non fotografabile di passato, goth e forma canzone. Black House, invece, è pop-rock con qualche tinta cupa. Sun è nudo, Black House è vestito. Un po’ mi scoccia vedere i Secrets Of The Moon uscire da quella terra di nessuno dov’erano finiti, ma d’altro canto possono fare quello che vogliono loro (spero), perché dopo settecento anni che sono in giro non hanno nulla da dimostrare. In questo caso hanno deciso di comporre buone canzoni, fine: non proprio roba radio-friendly, ma comunque a livello di accessibilità (e non solo) ormai siamo dalle parti dei Dool, se vogliamo restare in casa Prophecy. Quando qualcuno prova a guardare più indietro per trovare delle influenze, inevitabilmente tira fuori Fields Of The Nephilim, Mission, Cure… Io non sarei così specifico (ripeto: non parliamo di ragazzini che copiano), ma è chiaro che non si percepisce più la parte black metal della band, e quel tipo di negatività lì mi manca un sacco. È anche vero, a essere onesto, che è un po’ un casino non mettere in macchina pezzi come “Sanctum” (riff orientaleggiante, chorus assassino) e “Veronica’s Room” (altro chorus ruffiano, quasi quanto la sezione ritmica) e non cantarli. Poi ne rimangono altri sei, che altro non sono che singoli mancati per un soffio (“Cotard”, a suo modo e nonostante il testo, è una buona, languida ballad). Dunque non ci si può lamentare.