SECRETS OF THE MOON, Sun

SECRETS OF THE MOON, Sun

I Secrets Of The Moon, tedeschi, sono in giro dal 1995 e da tempo hanno raggiunto uno status che permette loro di suonare ai principali festival di genere europei. Anche se non si sono mai fossilizzati su una sola declinazione del black metal o del metal estremo in generale (anzi…), è palese è la loro capacità di tessere sempre atmosfere scurissime, indipendentemente dall’impatto e dalla velocità dei loro brani. Sono accadute molte cose in questi ultimi anni, come racconta il cantante e chitarrista (e sintesista) Philipp Jonas aka sG: sua madre è morta, sua figlia è nata, la loro ex bassista si è tolta la vita, il batterista se ne è andato. Lui e l’altro chitarrista (Michael Zech aka Ar), però, hanno trovato ogni volta da qualche parte la forza per andare avanti, fin quasi a rinascere. Sun è il classico lavoro di un gruppo adulto, che non deve dimostrare più nulla a nessuno e che pensa solo a scrivere buoni pezzi, con buone melodie, elaborati e curati, ma che entrino facilmente in circolo. Sta avendo un successo clamoroso e ora l’unico timore è che si passi dal disco onesto – anche se non oltranzista e anticommerciale – a quello fatto per vendere sulla scia del suo predecessore. Conoscendoli, non andrà così.

Si comincia con “No More Colours”, un pezzo allo stesso tempo rabbioso e cesellato: apertura acustica, parti vocali gridate e amare, un riff black metal al quale si sovrappone la distorsione piangente dell’altra chitarra, che successivamente sfocia in un doom malinconico, un testo come al solito non immediatamente intellegibile, ma di certo suggestivo (I was not able to speak when my word was born / so I painted in colours until the colours were gone). Sin da subito si ha la sensazione che i Secrets Of The Moon siano diversi, più accessibili, nell’atto di realizzare qualcosa d’importante. Di nuovo parti acustiche in “Dirty Black”, con sG che comincia a farci capire di aver compiuto un balzo gigantesco in avanti come cantante (c’è persino il fantasma di Bowie qui) e la band che sembra offrire una versione “pop” delle sue trame noir; a un certo punto, invece, spiazza con un crescendo melodico che sfocia in un vero e proprio inno all’agire senza dei sopra di noi, ma allo stesso tempo sembra aver partorito qualcosa di necessario e non ruffiano. Quando comincia “Man Behind The Sun” ormai siamo pronti ad affrontare canzoni vere e proprie, in questo caso con un ritornello ben riconoscibile (by sunrise I’ll try to break him / I don’t know where he is from / and when it falls I try to take him / the man behind the sun), energiche e paradossalmente vitali. All killers, no fillers, avrebbe scritto qualcuno una volta, ed ecco “Hole”, altro refrain vincente, poi arriva “Here Lies The Sun”, molto rockeggiante. Si rallenta con “I Took The Sky Away”, che sembra quasi un episodio minore dopo cinque impeccabili, e si finisce con la complessità di “The Mark Of Cain”.

Andranno in tour coi Dødheimsgard nel 2016. Nessuna data italiana in vista. Facciamoci sempre riconoscere, mi raccomando.