Seattle Sounds: Salt Lick dei TAD

Identikit: i più impattanti, bui e cattivi di Seattle, ma divertenti e divertiti, oltre che fumatori seriali d’erba come Bill Clinton e con tanta, tanta merda addosso (il caso “Jack Pepsi”, ad esempio). Impossibile non parlare di loro dopo aver visto sette mesi fa Tom Doyle cantare “Angry Chair” degli Alice In Chains accompagnato dai Soundgarden e aver pensato che non serve nient’altro nella vita se non i Tadgarden che suonano tutti i capolavori di quando erano loro i protagonisti del film. Nel 2016, tra l’altro, Sub Pop ha ristampato – con extra una volta tanto utili – i primi tre album dei TAD, quindi provo a incuriosire ancora qualcuno dato che poi è pure facile approfondire.

Sono molto attaccato a Salt Lick del 1990, pubblicato dopo il tour europeo con chi sapete voi. Forse perché è conciso come serve se non sei Tony Conrad (sei-pezzi-sei per manco venti minuti) o forse perché ci sento dentro pure i Godflesh e questo mi crea strani cortocircuiti geografici (qui, del resto, c’è Albini e non Endino a produrre, e la band non ha mai nascosto di ascoltare gli Head Of David). Il Seattle Sound, lo abbiamo capito con gli anni, conteneva punk, hardcore, metal, hard rock e altro ancora, senza che si riuscisse mai a sbrogliare la matassa: Doyle (voce, chitarra), Danielson (basso, strumento secondo me fondamentale nel definire il carattere di questo disco) e gli altri proponevano infatti un beverone efferato di questi generi, con in più appunto un non so che di meccanico che dava l’idea fossero un grosso macchinario fuori controllo, come quello sulla copertina di Salt Lick, come quello che ti immagini ascoltando il primo pezzo, “Axe To Grind”, oppure il terzo, “Wood Goblins”, una mina ancora oggi, di gran lunga più devastante di tanto metal estremo. Ai TAD, in quel momento, non mancava nulla: “la pacca”, i feedback, le distorsioni, la potenza, la voce, la presenza sul palco e fuori. Salt Lick poteva sembrare delirante e sguaiato, ma aveva una ripetitività voluta che – consciamente o meno – arrivava da molto lontano nella storia della musica (kraut, post-punk) e lo rendeva intossicante e ipnotico.

Non so se qualche gruppo oggi consideri i TAD un’influenza, ma – interviste alla mano – sembra che il resto della scena di Seattle li osservasse per bene e li tenesse in grandissima considerazione. Soprattutto so che dentro ci trovo molte cose che cerco da sempre nei dischi che ascolto.

Tracklist

01. Axe To Grind
02. High On The Hog
03. Loser
04. Hibernation
05. Glue Machine
06. Potlatch