Seattle Sounds: My Brother The Cow dei Mudhoney

Quando si nominano i Mudhoney è molto facile trattarli con rispetto: appartengono alla vecchia guardia Sub Pop, il loro singolo “Touch Me I’m Sick” è praticamente l’inno del grunge e Superfuzz Bigmuff è il disco da possedere anche da chi non ama il genere. I più esperti sanno che il cantante Mark Arm e il chitarrista Steve Turner erano tra i fondatori dei Green River, sciolti quando l’altra metà del gruppo (ovverosia Stone Gossard e Jeff Ament, futuri Mother Love Bone e Pearl Jam) iniziò a puntare ad un contratto major. Mark e Steve sono l’anima pura del rock, cresciuti con i dischi degli Stooges e del rock australiano più sporco (The Scientists, The Saints, Radio Birdman, The Birthday Party): non avevano ambizioni da rockstar, sebbene prendessero la propria musica seriamente. Ma diciamoci la verità: quanti hanno approfondito la loro discografia? A oggi hanno registrato una decina di album, altrettanti live, una marea di singoli e una bella messa di split (leggendario quello con i Sonic Youth, ultimo quello con i Meat Puppets, ma hanno condiviso i vinili con Melvins, Hot Snakes, Sonics, Mugstar…) ma hanno sempre venduto pochino, anche quando “grunge” era sinonimo di successo facile.

Negli anni Novanta le major fecero follie per metterli sotto contratto, sperando che bastasse un cantante biondo drogato e la residenza a Seattle per scoprire i nuovi Nirvana. Apparentemente il tanto decantato purismo della band crollò come un castello di carta sotto le lusinghe dei manager in giacca e cravatta. Si accasarono per la Reprise, ma solo dopo aver provato a convincere quelli di Sub Pop a rimanere con loro. Ma Pavitt e Poneman (i due capoccia della label di Seattle) erano troppo strafatti, pieni di sé e poveri in canna e decisero di prendersi gli Afghan Whigs e lasciare andare i Mudhoney.

“Tutti ci amano, tutti amano la nostra città, ecco perché sto pensando che sia arrivato il momento di andarmene” da “Overblown” contenuta nella colonna sonora di “Singles”.

I Mudhoney affrontarono il periodo major con molto cinismo. Se cercate le interviste dell’epoca leggerete un Mark Arm diverso da quello di oggi. Scorbutico, annoiato e, diciamolo, stronzo. Erano sia gli effetti dell’eroina, vizietto comune con tanti giovani rocker dell’epoca, che un modo per evitare il successo di massa. E anche i dischi che proposero non furono scritti con la voglia di sbancare le classifiche. Tra l’altro presero i soldi degli anticipi e si comprarono appartamenti più che chiudersi in studi da milioni di dollari con produttori trendy. Non era la grande truffa del rock’n’roll ma la sua versione grunge, svogliata, cinica e disillusa. Per loro semplicemente “punk”.

Il primo disco per Reprise fu Piece Of Cake, registrato con Conrad Uno, produttore garage lo-fi del giro Popllama / Estrus (due minuscole label di punk grezzo che più grezzo non si può). Non so quanto spesero ma immagino quanto i Nirvana in un giorno di registrazioni di Nevermind. Dentro al disco però non c’era “Smells Like Teen Spirit” ma “Suck You Dry”. Vendette circa 150 mila copie: adesso sarebbe un successo, ai tempi fu un flop tremendo.

Per il secondo disco My Brother The Cow chiamarono il creatore del suono grunge Jack Endino: colui che registrò Bleach, che fondò gli Skin Yard (ovvero coloro che spianarono la strada ai Soundgarden) e che con pochi spiccioli registrava un disco come si deve. Non oso pensare cosa dissero in Reprise quando si ritrovarono il master tra le mani. Anzi lo so: non parlarono più alla band. Pensate che il successivo (e splendido) Tomorrow Hit Today, ultimo disco per contratto, fu stampato in cd e mai distribuito nei negozi. Avevano vinto i Mudhoney? Con il senno del poi sì ma ai tempi andarono molto vicini allo scioglimento, avendo capito chiaramente che non potevano vivere di musica.

My Brother The Cow è un gioiellino del grunge tardo major, quel periodo intorno al suicidio di Kurt Cobain (94-95). Pensiamo a Stoner Witch dei Melvins, Vitalogy dei Pearl Jam, l’omonimo degli Alice In Chains, Superunknown dei Soundgarden, Above dei Mad Season, tutti usciti nel giro di un anno. Erano lavori che trasmettevano ansia, insicurezza, mancanza di lucidità, confusione. Brillavano grazie al loro essere imperfetti e proprio per questo furono rifiutati o incompresi dal grande pubblico, affamato di musica più lineare. Fateci caso: questi dischi hanno in comune l’essere variegati, sbilenchi, con molte parti deprimenti, rumorosi e cacofonici. E liricamente ribelli, seppure in modo confuso e contorto. My Brother The Cow fa parte di questo calderone e quindi suona unico nella discografia della band e può essere apprezzato anche da chi trova “semplicistico” il menu offerto solitamente dai quattro. Fra attacchi rabbiosi contro Courtney Love (“Why don’t you blow your brains out, too” in “Into Yer Shtik”) e contro la violenza antiabortista (“Save the baby, Kill The Doctor” in “Fearless Doctor Killer”, che nel titolo fa il verso ai Bad Brains) Mark Arm mostra di avere parecchia rabbia dentro di sé. Musicalmente si passa da brani punk veloci e iper melodici a lenti doom-blues (“Orange Ball-Peen Hammer”, “Dissolve” forse il pezzo più grunge della loro discografia) fino alla evidente citazione Stoogesiana di “1995”. Ma tutti i 12 i brani del disco sono dei capolavori di inventiva e scrittura.

E poi come dimenticare l’obbligatoria ghost track. Magari siete troppo giovani per saperlo, ma ai tempi nei cd si usava nascondere una traccia alla fine del disco, che partiva solitamente dopo svariati minuti dall’ultimo pezzo “ufficiale”. Sapete cosa hanno infilato i nostri eroi? Tutto il disco, ma al contrario.

Il disco vendette 40 mila copie. 40. mila. copie. Io ne ho comprate tre, di cui due sono inascoltabili da quanto le ho suonate. Ciò vuol dire che molti di voi non lo conoscono per niente: cercatelo, suonatelo e innamoratevene.

Tracklist

01. Judgement, Rage, Retribution And Thyme
02. Generation Spokesmodel
03. What Moves The Heart?
04. Today, Is A Good Day
05. Into Yer Shtik 3:45
06. In My Finest Suit 4:55
07. F.D.K. (Fearless Doctor Killers)
08. Orange Ball-Peen Hammer
09. Crankcase Blues
10. Execution Style
11. Dissolve
12. 1995
Untitled

Massimo Perasso
Massimo Perasso, amante di grunge, stoner, noise rock e wrestling è il fondatore di Taxi Driver (webmagazine, negozio ed etichetta). Ex bassista degli Isaak, qualche anno fa conduceva il programma radiofonico Fruit Of The Doom. Attualmente lavora da Flamingo Records Store e cura le fanzine cartacee Isterismo e Slerfa (che potete chiedere direttamente a lui). Ha anche una webzine dove pubblica news e approfondimenti musicali chiamata Tomorrow Hit Today, come il disco dei Mudhoney meno ascoltato di tutti.