SATAN IS MY BROTHER, Luca Freddi

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Risponde alle mie curiosità Luca Freddi (basso), e conferma quelle che erano le sensazioni iniziali riguardanti la band milanese. I Satan Is My Brother amano certamente osservare le reazioni di chi li ascolta, ma sembrano più che altro molto presi dal creare stranianti mondi distopici, dove musica e immagini si fanno tutt’uno col contesto del momento, a riprova di come l’ultimo album – They Made Us Climb Up Here – non sia di facile lettura. Meglio, comunque: le cose scontate non mi sono mai piaciute. Qui sotto le parole dell’amico del “diavolo” in persona.

Ciao Luca. Un paio di considerazioni che mi vengono da fare è che avete scelto un nome parecchio forte, e che vi piace comporre “musica da film”, direi meglio, mettere su disco “colonne sonore immaginarie”. Come mai quel nome, e dimmi se vi ritrovate nella definizione che ho appena espresso.

Luca Freddi: Il nome è stato scelto “per vedere di nascosto l’effetto che fa”, come diceva Iannacci. Lo so, è una cosa molto adolescenziale vedere le persone arricciare il naso o godere delle futili paure altrui, però il risultato in questi anni è sicuramente stato molto divertente. E si passa da interrogazioni in consigli comunali a gente che viene sperando di vederti metallaro mentre profani vergini con un crocifisso. Satan è mio fratello, è uno di casa, insomma lo conosco, non c’è da aver paura. Guardati meglio intorno. Tutto qui.
Sono sempre stato affascinato dalla commistione tra musica e immagini. Dall’inizio delle esperienze con Yellow Capra, fino a Satan Is My Brother, passando per A Finnish Contact. Un film, una scena, uno sguardo, un viaggio, uno scorcio, un bacio, con una colonna sonora adeguata possono essere detonanti. La musica può dare qualcosa di più alle immagini, sospingerle o farle andare in una certa direzione. Ma anche proporre al pubblico una musica che sia sorretta da immagini ad hoc vuol dire offrire un’esperienza più ghiotta in cui immergersi.

Siete giunti al terzo album, e trovo interessante il fatto che in fondo siete piuttosto parchi nelle pubblicazioni. Di solito associo questa cosa al fatto che è sempre saggio non invadere mai troppo il mercato (per quanto piccolo possa essere) con nuove uscite. Perché quindi questa penuria di lavori? C’entrano anche le vostre vite private?

L’andamento e il percorso di Satan è sempre stato, per sua natura, blando e rilassato. Un vortice al rallenty. L’interazione tra di noi è la cosa più importante. Ci possono essere stati tempi morti dati da vita privata, lavoro, spostamenti, o cambi di compagni di viaggio. Ma in quel vortice ci siamo sempre dentro, in ogni momento, anche quando ripartiamo o iniziamo una nuova cosa.

Influenze ce ne sono, anche se diciamo mi sembrano “abilmente nascoste” (ne accenno anche in sede di recensione), ma lascio a te provare ad elencarmele, se ne hai voglia.

Giuro su Evaristo Beccalossi che non abbiamo mai pensato di fare qualcosa che andasse verso un ascolto o gruppo di riferimento. Mi piaceva l’idea di far tuffare l’ascoltatore dentro un mare di elettronica scura e opprimenti fiati quasi jazz, loop di basso e batteria anche dub, e tastieroni asfissianti. Quello che è venuto fuori non è stato progettato a tavolino. Oltre al fatto che veniamo da esperienze e ascolti anche diversi.

Parlami della fase di composizione/prova. Come la vivete? È un processo lungo?

Hai presente le Crystal Ball? Ecco, in pratica la fase di composizione è come fare un pallone abbastanza grande per poi rinchiudersi dentro con gli strumenti. Quando tutta la massa sonora prodotta è stata filtrata e ha preso un senso, buchiamo il rivestimento plasticoso.

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Ora raccontami di cosa ti/vi incuriosisce di più nelle musiche di oggi, e di quali artisti/band sei/siete particolarmente appassionati.

Poco tempo fa ci siamo trovati a casa mia, e in una serata senza fine ciascuno di noi metteva sullo stereo una canzone a turno. Ognuno ha messo cose diverse, e ognuno ha apprezzato le scelte altrui. Ascoltiamo cose differenti tra loro, ma ci troviamo a diversi incroci: Fugazi, free jazz, la roba della Constellation, i Van Pelt, Hood, Bedhead, l’hardcore old school e i Black Flag. Ultimamente, sempre come cose condivise, ti direi Peaking Lights, Bibio, oltre al solito Four Tet (che poi non è più di primo pelo).

Anche per quanto riguarda la dimensione live so che non fate poi molte date, o sbaglio?

Non sbagli, facciamo date con il contagocce. Forse per gli impegni privati e di lavoro, o per il nome, forse per la musica non troppo fruibile, o per la mancanza di locali con certe proposte musicali. O forse tutte queste cose sono una scusa.

L’eredità che ci hanno lasciato i nostri artisti più importanti, mi riferisco nello specifico agli autori delle colonne sonore che sono tornate tanto di moda (vedi ristampe, omaggi vari e reinterpretazioni) va vista secondo te come un fattore comunque positivo per la cultura del nostro Paese? O magari pensi che dovremmo guardarci di più attorno, mi riferisco ad altri Paesi/culture? Dimmi la tua.

Senza fare dei nazionalismi, va vista come un fattore positivo e fondamentale per la cultura musicale in generale. Di certo, diversi autori italiani hanno prodotto molte cose importanti dal punto di vista delle colonne sonore. Non so se per esterofilia o mancanza di gusto negli ascoltatori questo tesoro è stato lasciato in cantina e tenuto nascosto. A questo proposito è stato molto divertente vedere poco tempo fa la Blues Explosion postare sul suo profilo social un “Morricone funk” anno domini 1970.

Rimarrete fermi per un po’ dopo They Made Us Climb Up Here?

In realtà non stiamo fermi ma i nostri tempi si dilatano, come dicevo prima. Ad oggi abbiamo il live set con un nuovo filmato, legato al disco, e parallelamente abbiamo sviluppato una nuova musicazione. Dopo quella legata a “L’Inferno”, portiamo dal vivo una nostra colonna sonora per “In The Shadow Of The Sun” di Derek Jarman.