Sandro Mussida e Giovanni Di Domenico: eyes wide open

Terzo e quarto appuntamento con “Decay Music”, serie di pubblicazioni che Die Schachtel ha pensato di dedicare alla contemporaneità musicale più eterea e ambientale, rifacendosi – con tutta probabilità – al titolo dell’omonimo disco d’esordio di Michael Nyman. Questi ultimi due episodi, pur nella loro diversità, sono legati da un filo robusto (che li accomuna anche all’uscita precedente nella serie, a firma Stefano Pilia e dal titolo inequivocabilmente debordiano) nel loro suonare come complemento alla contemplazione visiva, come supporto ideale di esplorazioni urbane e non; escono su vinile, ma il mio consiglio è quello di tenere le tracce mp3 su un dispositivo portatile e, cuffie in testa, di farne il supporto musicale delle vostre derive psicogeografiche.

Sandro Mussida lo dichiara apertamente nelle note che accompagnano l’uscita: questa non è musica da ascoltare con gli occhi chiusi, piuttosto il contrario. È musica composta per ampliare l’azione degli occhi, per sviluppare il senso dell’osservazione attiva dello spazio intorno a te nel momento presente. È un lavoro ispirato al Rinascimento italiano, cionondimeno si attaglia bene, a mio avviso, alla modernità e alle sue stratificazioni spaziotemporali; possiamo considerarlo un disco gemello di quello uscito lo scorso anno per Soave, registrati entrambi nel 2018 all’interno della chiesa di San Giusto a Volterra ed entrambi frutto del medesimo ensemble violoncello-clarinetto-basso-chitarra elettrica (quest’ultima anche qui suonata, presumiamo, da Alessandra Novaga, non accreditata nelle note a nostra disposizione) ma differenti nell’andatura: qui meno rilassata e a tratti nervosa, alimentata da quella scintilla che caratterizza tante opere pittoriche rinascimentali. Il compositore, al suo solito, lavora principalmente sui sistemi di intonazione fra gli elementi messi in opera, fattore che dà vita, più che nelle sue precedenti realizzazioni, a un unico blocco sonoro in cui è arduo discernere le componenti; il resto lo fa il lavoro di campionamento, con cui l’autore plasma la materia in lunghi drone o loop impalpabili che vicendevolmente titillano le sinapsi o le blandiscono.

Giovanni Di Domenico è un pianista e un compositore nato a Roma ma residente a Bruxelles, dove sono state registrate la maggior parte delle tracce di questo Downtown Ethnic Music, lavoro orientato verso una lettura della contemporaneità che investe l’incontro fra culture differenti e che si concretizza in un intreccio fra diversi modi di fare musica, riagganciandosi tanto al Quarto Mondo di Jon Hassell, quanto ai nostri Roberto Musci e Walter Maioli. Cimbali, percussioni, fiati e voci completano il notevole ventaglio espressivo di Di Domenico, in un disco che si caratterizza per un’atmosfera di sospensione onirica, vaniloqui notturni alternati ad armonie taglienti, momenti di solennità che ricordano i lavori di Artemyev per Tarkovskij, attimi di sostenibile leggerezza dell’essere e barocchismi curiosamente non dissimili dagli esiti più recenti di James Ferraro e Vessel.

Entrambi disponibili in edizione limitata a 250 copie su vinile marmorizzato, pubblicati con la solita eleganza e con la cura che Die Schachtel riserva per i dettagli.