SAÅAD, Présence Absente

Avevamo lasciato i due francesi Saåad nei pressi della chiesa di Notre-Dame de la Dalbade, nella loro Tolosa, impegnati a dispiegare e alterare il suono imponente dell’organo a canne lì situato. Da quell’esperienza sarebbe nato Verdaillon, il disco pubblicato nel 2016 dall’etichetta parigina In Paradisum, seguito poi da un film onirico e parzialmente silenzioso che ne documentava il processo di creazione musicale. Quasi a testimonianza di come quell’organo a canne avesse rappresentato una sorta di sfida, o magari l’inizio di un nuovo capitolo.

Oggi Romain Barbot e Grégory Buffier tornano per la terza volta su Hands In The Dark con Présence Absente, un album basato sul setup live e sulle improvvisazioni che hanno occupato buona parte del loro 2017. L’impressione è che questi cinque brani proseguano il discorso lasciato in sospeso con il precedente capitolo siglato Hands In The Dark, quel Deep/Float “più tagliente della nerissima ossidiana” che nel 2014 aveva ottenuto un ampio consenso di critica e pubblico. La sostanza in effetti è ancora quella: lunghi drone al sintetizzatore come distese sconfinate, accumuli stratificati di materia inscalfibile, gelide figure melodiche poste in silhouette e, sparse qua e là, registrazioni d’ambiente dagli effetti prossimi allo straniamento e alla dislocazione sensoriale (i cinguettii predominanti nella terza traccia).

Sulle prime non si capisce dove si possa riscontrare questa “nuova, differente forma” che, stando alle parole del comunicato stampa, la musica dei Saåad avrebbe assunto, ma va detto che con i secondi ascolti la novità emerge nella forma di un insieme. In poche parole, è come se il confronto incerto e spiazzante con quell’organo a canne (un organo ottocentesco di famiglia Puget, considerato tra i più grandi e belli di Francia) avesse donato ai Saåad le virtù della pazienza e dell’autocontrollo: l’iniziale “Libation” ad esempio, ma anche l’inquieta e pesante “Offline Migrations”, crescono e si dilatano con lentezza da pachiderma. Come a dire che in questi nostri tempi estranei (“Temps Étranger”: così titola l’ultimo, più breve brano) di grandi migrazioni online e offline, ricavare spazi per la riflessione può essere un lusso ma anche un dovere. La musica dei Saåad, sempre così apocalittica, risuona ancora nei toni parenetici di un’ammonizione.