REVENGE, Strike.Smother.Dehumanize

Se c’è un disco di cui si sta parlando (e molto bene) quest’anno è senza dubbio il nuovo album dei Revenge. Sin da quando la Season Of Mist ha deciso di presentare i primi singoli c’è subito stato un clamore generale, sia tra i fan della prima ora, sia tra chi il gruppo l’ha sempre apprezzato pur senza particolare trasporto. Il cosiddetto “war metal” è ormai un trend, questo è innegabile, ma per spiegare il fenomeno non possiamo fermarci qua.

È un talento di pochi quello di saper comporre musica caotica, monotona ma sempre fresca e incredibilmente “straight to the point”. Il progetto di James Read ha una formula molto minimale, che nell’essenzialità ha sempre trovato un suo pregio: cannonate di blastbeat in brani di 4-5 minuti, stacchi improvvisi, chitarre ribassate di tono ma molto taglienti, uno screaming semplice ma subito riconoscibile (arricchito, nei primi dischi, dal contributo inconfondibile di Pete Helmkamp). Il gruppo ha pure avuto il “merito” di strappare il pitchshifter al goregrind, usandolo in maniera sapiente in alcuni passaggi come seconda voce. In poche parole, portando avanti un discorso simile a quello degli Yacopsae, ma in ambito metal. 

A corredare il tutto, un’estetica ancora più essenziale ma riconoscibile tra mille: i teschi, nel genere di riferimento, sono stra-abusati, così come filo spinato e maschere antigas, ma se a servirsene sono loro, tutti se ne accorgono. Inoltre, la scelta di basarsi su concetti precisi, inequivocabili e ribaditi nei titoli con tanto di punti di separazione tra uno e l’altro, ha fatto della loro estetica un marchio di fabbrica. Uno stile che, a dirla tutta, è più tipico di certo industrial (vedi Brighter Death Now). 

I Revenge sono uno di quei nomi dai quali si sa già perfettamente cosa si riceverà, e questo Strike.Smother.Dehumanize non fa eccezione. Rispetto a Behold.Total.Rejection e all’ultimo ep, Deceiver.Diseased.Miasmic, però, il loro approccio è più funzionale. Impossibile non notare come i suoni siano veramente perfetti: le chitarre rimangono degli strumenti di sterminio di massa come in passato, ma sono molto più potenti e ben pompate, così come la batteria. I riff emergono di più e si vede come la band negli anni abbia puntato parecchio sul far risaltare certi passaggi rispetto al marasma sonoro in background. Alcuni brani rimangono subito in mente, ad esempio “Salvation Smothered (Genocide Of Flock)”, il cui incedere marziale finisce inevitabilmente in un blastbeat senza esclusione di colpi. 

Nella sua incredibile semplicità abbiamo di fronte uno dei dischi dell’anno, nonché uno degli episodi migliori nella discografia del gruppo. Le aspettative non sono state deluse ma anzi, confermate. I Revenge sono tornati per ricordarci come dal caos possa nascere una malvagità che non ha eguali e che rimane, in ogni suo aspetto, molto personale. Consigliato a tutti, anche a chi li snobba perché sa già cosa aspettarsi: rimarrà sicuramente sorpreso da questa band estrema di nome e di fatto.