RETOX + MERKEL MARKET, 30/3/2015

Justin Pearson

Milano, Lo-Fi.  Tutte le foto sono di Matteo Bosonetto – Miseria Nera.

Ultima data italiana per il quartetto californiano, che si esibisce a Milano dopo le date di Bologna, Roma e Mantova. Ad accompagnarli ci sarebbero dovuti essere Merkel Market e Left In Ruins, ma questi ultimi non hanno purtroppo potuto prendere parte alla serata.

Cominciamo dall’inizio: i Merkel Market sono una band post-hardcore di Milano. La loro particolarità risiede nel fatto che ad accompagnare voce e batteria ci sono due bassi, che determinano così un suono molto compatto e potente, e allo stesso tempo isterico e viscerale. Le sonorità ricordano in parte la tradizione hc italiana, con richiami ai Negazione piuttosto che ai LaCrisi, ma anche il post-hc più recente. Il cantato, rigorosamente in italiano, esprime un’esigenza comunicativa con testi feroci e violenti. Premesse tutto sommato positive, se non fosse che l’attenzione nei loro confronti non è al massimo, atteggiamento dovuto probabilmente al fatto che l’attesa per la band di San Diego inizia a farsi sentire. Sono quasi le 23 e, del resto, è pur sempre lunedì sera.

Mi è difficile riuscire a dare un giudizio oggettivo sullo show dei Retox. Avevo conosciuto Justin Pearson circa quattro anni fa, a Bologna, in occasione di un concerto nel quale aveva registrato il video di “They Keep On Fucking”, pezzo nato dalla sua collaborazione con i trevigiani Vegamoore. Un progetto quindi in grado di fondere punk ed elettronica, simbolo di ciò che è la sua principale caratteristica: la poliedricità. Basta scorrere velocemente la sua carriera, costellata da band di successo quali The Locust e Some Girls, e da collaborazioni di vario genere, come quelle con Bastard Noise e Bloody Beetroots, per rendersi conto di quanto sia in grado di reinventarsi e di sperimentare in spazi e generi diversi, che vanno dal noise al punk e all’elettronica. I Retox sono il suo gruppo più recente, fondato nel 2011 con Gabe Serbian (già insieme a lui nei Locust), che ha però abbandonato nel 2013. Qualcuno muove l’accusa che la band è “costruita a tavolino”. Questo può in parte sembrare vero, ma il problema è che questo genere di critica può essere mossa a gente che ha poco da dire, poco da trasmettere e scarse capacità tecniche. Il quartetto californiano, invece, sale sul palco scaraventando addosso al pubblico un muro di suoni al vetriolo, in grado di spezzare il petto a chiunque in meno di cinque secondi, grazie ad esempio alla schiettezza di “Die In Your Own Cathedral”, brano tratto dall’ultimo album Beneath California. L’intero set scorre violento e sfrontato per poco più di trenta minuti di noise, hardcore, richiami alla “vecchia scuola” californiana e virtuosismi che ripercorrono le soluzioni più nevrotiche dell’intera discografia della band, in particolare del già citato ultimo album e di YPPL, dal quale ripropongono pezzi come “Modern Balls” o “Mature Science”, scuri e dritti come un pugno in faccia.

Devo essere sincera, i Retox non mi piacciono molto su disco, ma penso sia indispensabile vederli live: il batterista è uno dei migliori del genere, preciso e diretto; il chitarrista e il bassista sono isterici ed estremamente dinamici, mentre Justin si conferma per quello che è, un insaziabile animale da palco che si nutre del contatto col pubblico e che fa della stessa mimica un elemento essenziale della sua performance. Il live si chiude con “Consider This Scab Already Picked”, uno dei brani più lunghi della band (ben tre minuti!), che racchiude dentro di sé tutte le caratteristiche del Retox-sound in un epico e progressivo riff onnipotente che diminuisce di velocità ma non di intensità, lasciando i presenti ammutoliti e intontiti di fronte a qualcosa di così monumentale.

Durante il live Justin ha perso un anello molto speciale per lui, in quanto conteneva parte delle ceneri di uno dei suoi migliori amici. E forse anche per questo è riuscito a coinvolgerci così potentemente, anche dal punto di vista emotivo, facendo in modo che parte del pubblico si fermasse, inutilmente, dopo il live ad aiutarlo a cercarlo. Ma il potere dell’internet è anche questo: il giorno dopo m’ha rassicurata di averlo ritrovato. Concludo con un tweet di Pearson pubblicato proprio qualche giorno prima del live “No, punk is not dead. But I do think that Punk Rock is”. E non posso che essere d’accordo con lui.