RASHAD BECKER, the incident
Rashad Becker, tecnico del mastering di spessore internazionale, conosciuto per il suo lavoro presso Dubplates & Mastering, fondato da quelli della Basic Channel, e ora presso il suo studio Clunk, ha lavorato su più di duemila dischi ed è dunque parte involontaria della colonna sonora delle vite di molti di noi. Di solito lo presentano tutti così; io aggiungo una breve lista di roba passata per le sue mani che ascolto e riascolto nella vita reale, non solo quando devo vantarmi su internet…
Yellow Swans – Going Places
Cindytalk – Hold Everything Dear
Sunn O))) Meets Nurse With Wound – The Iron Soul Of Nothing
ÄÄNIPÄÄ – Through A Pre-Memory
Emptyset – Borders
The Necks – Unfold
Puce Mary – The Drought
Mark Fell & Will Guthrie – Infoldings – Diffractions
Già questi titoli, se nessuno conoscesse quest’uomo, sarebbero il cartellone pubblicitario perfetto per convincere tutta una specifica audience ad approcciarsi alle cose a suo nome, perché inevitabilmente lo identificano come la persona di fiducia di un insieme coeso e riconoscibile di artisti ed etichette.
Potrei scrivere un articolo — ma avrei bisogno di una mano — su quanti di quelli che si muovono dietro le quinte poi facciano album inutili, cerebrali, senza quella scintilla che sappiamo. Non siamo tutti Brian Eno, non siamo tutti manco Butch Vig o Peter Tägtgren. La tecnica e l’arte non sono la stessa cosa, eseguire e creare nemmeno, anche se c’è sempre una linea di confine tutt’altro che netta tra le attività umane, perché siamo organismi e non macchine. Se si ascoltano i due Traditional Music Of Notional Species pubblicati da Becker nel corso degli anni Dieci, la prima impressione è proprio quella del parto di qualcuno che, abituato a ragionare senza un pubblico a cui rivolgersi, non arriva alle persone, anche se qui non si parla di generi a cui è facile approcciarsi, ma di un mondo ostico per tutti a prescindere. La seconda idea che sale al cervello, invece, è quella della consapevole creazione di un universo autonomo nel linguaggio, un po’ l’altra faccia della medaglia della mancanza di dialogo con un pubblico. Come mio termine di paragone personale per questi dischi ho Confield degli Autechre: elettronica solipsista con un fascino strano e sinistro. Questa incomunicabilità e questo discorso sul linguaggio tornano in maniera più diretta in the incident, un album politico la cui politicità è sempre più palese man mano che le guerre quest’anno aumentano, con l’Occidente che non capisce l’Oriente, e viceversa. Lo penso io e lo scrive Rashad Becker: the incident è concepito come uno storyboard sonoro, uno “pseudo-musical” labirintico e narrativo che utilizza tocchi sonori comici e astrazioni sorprendenti e idiosincratiche per riflettere l’assurdità sconcertante della nostra epoca. Diviso in 4 capitoli, la prima parte (“let the record show”) riflette sulla fine dell’era dell’informazione – mentre ci imbattiamo in un’era di corroborazione e testimonianza reciproca… osserva, riconosci, trasforma, rigetta – e la realtà viene sostituita dalla sua rappresentazione. “The currency of an urgent moment”, il secondo atto dell’album, osserva questa valanga di dati da quattro diversi punti di vista, ciascuno con lo stesso titolo (“l’ora zero”, ndr) in una lingua diversa. Riflettendo su come sia il linguaggio che il luogo influenzino la nostra comprensione, ogni brano adotta un approccio radicalmente diverso al soggetto […]. Il terzo atto, “repercussions”, si arrende a uno stato di apatia amplificata – come un “esorcismo comico”. Il brano finale – “what really happened” – chiarisce la storia con “un pezzo di docu-fiction della moltitudine” che descrive l’intera serie di eventi in modo musicalmente il più fedele possibile a ciò che è veramente successo. Se non è attuale tutto questo nell’era della post-verità inaugurata da Donald Trump ed Elon Musk, in un periodo in cui le storie raccontate da NATO e Russia, Israele e palestinesi, sono film completamente diversi (altro che “Shyamalan twist”), in un momento in cui l’intelligenza artificiale e i deepfake creano mondi virtuali quasi perfettamente plausibili, non so cos’altro lo sia. Di sicuro mi vien da pensare a periodi di forte propaganda come quelli antecedenti al primo e al secondo conflitto mondiale.
Il suono senza l’accompagnamento di un testo, se non quello del titolo del pezzo, non comunica ragionamenti così complessi come quelli dietro a the incident, almeno secondo me. Tra l’altro, per quanto mi riguarda, io sono sempre stato molto epidermico, motivo per il quale i grandi concept non mi hanno mai conquistato. Questa volta, però, non posso non notare come Becker abbia donato più dinamismo alle sue creature aliene così lontane da ogni immaginazione del presente e del passato: non posso che dire bene di una traccia ansiogena come “busy ready what, corroborators”, ritmica singhiozzante e pseudomelodie storte e instabili, e non posso che associarla al diluvio di informazioni che non riusciamo bene a verificare a cui allude il siriano/tedesco. E sempre a proposito di ritmica efficace e incalzante (e per questo ansiogena), va assolutamente ascoltata “sāʿatu alṣṣufri”, “l’ora zero” in arabo, non per caso la più orientaleggiante di tutte. Questi sono di sicuro i miei pezzi preferiti del disco: sono tentato di collegarli, specie il secondo, al lavoro di Will Guthrie con l’Ensemble Nist-Nah, oltre che quello con Mark Fell, citato tra l’altro a inizio articolo. Subito sotto queste due vette metto “all you need to know about confusion”, lenta e ubriaca, che chi ha a casa i due Traditional Music Of Notional Species non faticherà a riconoscere come a firma Rashad Becker. Alla pari trovo che ci sia “deadlock” coi suoi intellegibilissimi rintocchi funebri: bisogna immaginare la registrazione di un’orchestra in disfacimento progressivo e per avere forse un’idea di come suona. Manco male “what really happened”, titolo che più esplicito non si può, oltre che ultima e più lunga traccia del disco: questa sarebbe la verità dell’autore, ma qui vorrei conoscere il parere degli ascoltatori, mentre mi vien da pensare che quell’orchestra in decomposizione di “deadlock” qui stia riprendendo man mano a funzionare e marciare.
Per tirare le somme, the incident è certamente una sfida all’ascolto, ma non penso che non saremmo qui, se fosse facile. Magia della musica, però, quest’album non è solo disorientante e ostico come i suoi predecessori: vivremo frangenti emozionanti e proveremo pure a tenere il tempo, frenetico e irregolare come questi anni incerti e sempre fuori fuoco.