RAMLEH, The Great Unlearning

Con la pubblicazione dell’ultimo disco dei Ramleh, dopo quelli di Kleistwahr e Skullflower, Nashazphone si rivela una sorta di succursale in terra d’Egitto di Broken Flag, etichetta fondata proprio dal leader della band britannica Gary Mundy nel 1982 ed editrice di alcuni dei capisaldi del genere power electronics. Fin da Hole In The Heart – è il 1987 – la band di Mundy pare voler spingersi oltre quel nichilismo sonico che la accomunava a nomi come Whitehouse e Sutcliffe Jugend, cominciando ad esplorare tutta una serie di possibilità espressive che da una commistione violentissima di industrial e noise sconfinano nel deliquio psichedelico fino a pervenire a esiti post-rock.

In The Great Unlearning, il cui titolo rappresenta un capovolgimento del “Grande Studio” di Confucio, i Ramleh in un’inedita combo – in cui attorno al demiurgo ruotano Anthony Di Franco, Stuart Dennison, Philip Best, Martyn Watts e Sarah Fröelich – spingono il loro suono in direzioni differenti, dilaniati in un’opposizione tra musicalità e un frastuono sconsiderato che rimane fondamentale nell’evoluzione stilistica del gruppo: le chitarre giocano un ruolo di primo piano all’interno dei brani con i synth che in qualche modo assumono il compito di elemento destabilizzante, giocando a scardinare le forme canoniche del rock. “Future World”, che occupa l’intera prima facciata del doppio lp, è una lunga traversata in odore di post-rock, imperniata su un ostinato che va avanti, con esigue variazioni, per tutti i diciotto minuti del pezzo. In un paio di tracce sembra tributarsi un omaggio convinto a quanto di meglio ci hanno offerto gli anni Novanta: “The Twitch” comincia con il giro di basso, quindi timpano e rullante, chitarra sguaiata, rumoracci e cori, e ne viene fuori qualcosa che ricorda da vicino i Fugazi, “No Music For These Times” invece pare uscita da un disco dei Sonic Youth, pur senza quella messe di dissonanze che ha reso celebri Thurston Moore e compari. Fra i momenti migliori di questo corposo doppio lp segnaliamo “Your Village Has Been Erased”, che strizza l’occhio al doom, “Procreation As An Imperialist Act”, in cui pare di ascoltare i Wolf Eyes fatti di ketamina, e il finale “Natural Causes”, psichedelia da suonare a volume atroci.

Disco fornito di una buona dose di eclettismo, quindi, per quanto non privo di momenti di stanca, che potrà suscitare sensazioni positive sia nei fanatici del rumore che nei cultori dell’estetica rock.

Tracklist

A1. Futureworld
B1. The Twitch
B2. Blood Aurora
C1. No Music For These Times
C2. Religious Attack
C3. Racial Violence
D1. Your Village Has Been Erased
D2. Procreation As An Imperialist Act
D3. Natural Causes