RAKTA, Falha Comum

Potrei anche evitare di parlare di questo disco e di questa band, anzitutto perché il Brasile mi appassiona poco e ne ho un’idea meno che scolastica, inoltre – aggiungerebbe qualcun* – sono un maschio bianco eterosessuale che vive in un Paese ricco. Aggiungo questo perché sto ascoltando le brasiliane Carla Boregas (basso, testi) e Paula Rebellato (tastiere, testi, voce riverberata), oggi in compagnia di un batterista di nome Mauricio Takara (uno che suona con Mazurek), col quale mandano avanti la loro band Rakta (“sangue” in sanscrito, tocco ancestrale voluto e consapevole) in un Paese guidato da un nuovo presidente “autoritario”, con forti squilibri sociali e caratterizzato da un atteggiamento omofobo (sull’argomento c’è un interessante articolo di Crack Magazine incentrato sulla “nightlife” di San Paolo) e chiuso nei confronti delle donne (l’interruzione di gravidanza è pressoché illegale e Paula e Carla ne parlano in un vecchio pezzo, che si intitola “Filhas Do Fogo”). Ora è chiaro come mai mi sento fuori luogo, ma è pur vero che sono state in tour in Europa coi nostri beniamini Deafkids (le scene di San Paolo sono molto permeabili e le due band hanno in comune un’impostazione free form e il lavoro lisergico sulle voci), dunque bisogna dar conto un minimo di che cosa si agita da quelle parti.

Qualcuno ha paragonato le Rakta alle Xmal Deutschland, un po’ per il tiro da streghe (guardare “Hagazussa” per capire come le società conservatrici emarginano e demonizzano le donne “non allineate” oppure pensare al titolo geniale del secondo disco dei Liars), un po’ per gli elementi post-punk nel loro sound (sentire come suona quel basso e come quella voce effettata sia oltretombale). Qualcun altro ha sottolineato la loro componente psichedelica, data dalle tastiere e – di nuovo – dagli effetti. Io dico che non serve vivere immersi nell’underground per accorgersi che in questo Falha Comum c’è un brano che potrebbe stare in un Meddle registrato con meno budget, magari a fianco di “One Of These Days”, come non mi pare una bestemmia paragonare “Fim Do Mundo” a “Sister Saviour” dei Rapture: epoche diverse, stili diversi, ma stesso potere ipnotico, forse perché la matrice di tutto è il minimalismo. Le Rakta, però, non sono solo questo ibrido, ma un’entità nuova e mutante che vive secondo regole proprie, forte dell’influenza di una scena alternativa cittadina dove attori diversi si parlano e interagiscono (penso ai remix di Metaprogramação dei Deafkids) e dell’appoggio di varie etichette, tra cui quella degli Iron Lung, gente che di estremismo se ne intende. Dureranno? Non lo so, ma Falha Comum ha il suo perché.