PUTAN CLUB, Filles D’Octobre

L’ultimo album live che ho ascoltato di recente è stato quello, bellissimo, di Lili Refrain. Ora ci spostiamo da Londra a Oporto per sentire una delle incarnazioni più pure di una musica che nasce nel punk, nel teatro e nella tradizione. È un duo – una bassista salentina e un chitarrista francese – che dà letteralmente fuoco alle carte prima di mescolarle e consegnarle in pasto ai suoi amici elettronici sul palco. Si chiamano Gianna Greco e François R. Cambuzat (L’Enfance Rouge, Ifriqiyya Electrique…) e negli ultimi anni hanno letteralmente organizzato tour a tappeto, inciso un disco, recuperato sul terreno quanto più possibile a livello di carne, viscere, connessioni crude. Tutto ciò ovviamente si ripercuote sulla musica, che si esprime rabbiosa nella mescola fra strumenti ed elettronica, oscillando come barche in tempesta. I Putan Club uniscono noise alla tradizione, punk a teatro, su centinaia di palchi da sempre e questa volta hanno deciso di registrare la loro performance all’Amplifest, un set di 11 brani per all’incirca un’ora e mezza di spettacolo.

Il suono dei Putan Club è selvatico, marziale e tribale, riesce a fondere diverse scariche di intensità all’interno di un insieme che si fa via via più espressivo e incazzato. Dentro questi bidoni scuri dai quali la musica sembra letteralmente eruttare ci sono l’Africa, l’Asia, le Periferie, le industrie, la rabbia e la rivolta. Ad uscirne è una miscela nera come la pece, nutriente ed inebriante, che spinge alla danza forsennata e alle urla più selvagge. “Arrah Arrah” monta come se dovesse arrivare una tempesta di sabbia. Il rito collettivo sembra esplodere dalle casse dritte di “Galoo Sahara Laleet El Aeed”, che vive su un botta e risposta fra Gianna e François, crescendo esponenzialmente fino a trasformarsi in una cavalcata che può portarti a zonzo ovunque tu creda di essere, prima del ritorno vocale che tra flauti e chitarre risuona imperativo e trascinante e che sceglie finalmente la rotta, in un torrido Nord Africa. “Jadransko More” pulsa del basso di Gianna e si smette mai di gettare il cuore oltre all’ostacolo, anche quando le rotte sono le più discoste e rischiose. “Kancer” sviscera il lato più oscuro del duo, con una vis che ricorda certa no wave, poi la Banlieue più lirica in “Filles De Mai”. Ma ormai i brani sono diventati via via più malati e decadenti, tra fischi, squilli, cori da strada e i meritati applausi del pubblico. “Bogaziçi” apre la porta del Bosforo fra Occidente e Oriente, non lesinando sulla pesantezza, con un ritmo picchiaduro che non fa prigionieri e spezza le ultime reni. C’è tempo per un’arrembante “Meydüse”, le ultime scariche elettriche sotto al palco, le ultime botte alle pelli e gli ultimi amplificatori da mandare al macero. Oporto è presa, Putan Club riparte per la prossima tappa.