Pulsar: minimalismi liberi

Pulsar = Leonardo Pucci. Leonardo è stato batterista di Espada e Danny Mellow ed è una figura dietro le quinte di festival ed etichette (la stessa Rous Records, per la quale esce Nebula, secondo full length del progetto). L’intervista nasce dall’interesse generato dal pezzo (e dal video) che dà il titolo al suo nuovo lavoro, elettronica d’ascolto a classico tema spaziale e dal potere curativo, aperta – come sempre – ad altri linguaggi come quello del sax libero di Laura Agnusdei, sempre più sotto i riflettori della critica e degli addetti ai lavori (mi auguro anche del pubblico, quando sarà possibile definitivamente avere un pubblico davanti), ma anche come quello del corpo della ballerina Lucia Guarino (il sincretismo prosegue con il video di “Distant Waves”, protagonista Veronica Biondini). Tutto l’album, in ogni caso, non ha cadute: a volte rinnova un suono che deve qualcosa ai pionieri elettronici, spesso è eclettico ed è difficile capire a che periodo storico guarda, ogni tanto sconfina in “pianismi” delicati che tanto hanno funzionato tempo fa, a volte gioca d’astuzia applicando alle tracce qualche vecchio trucco post-rock, come emerge dallo scambio tra lui e me. Io, fossi in voi, mi prenderei del tempo per ascoltare con calma Pulsar e a Nebula.

Per favore, spiegaci cos’è Rous Records e perché vi definite un collettivo.

Rous Records è un’etichetta indipendente nata nel 2017 con l’obbiettivo di pubblicare dischi di artisti che, senza porsi limiti di generi, si dedicano alla sperimentazione e alla ricerca musicale. Ci definiamo un collettivo, perché l’etichetta è stata fondata ed è portata avanti da un gruppo di amici, tutti musicisti, dove chi più e chi meno, in base al tempo che ha, si dedica a un aspetto differente della produzione. Non c’è nessun tipo di guadagno, tutto il ricavato, se c’è, viene investito nella produzione successiva. Abbiamo anche un piccolo studio/sala prove dove sono stati registrati alcuni dei dischi da noi pubblicati. Il collettivo si amplia poi quando ci dedichiamo all’organizzazione di eventi come Holydays Festival o Sintesi Festival.

Hai suonato come batterista, sei stato dietro le quinte di un festival, hai in piedi un’etichetta, vedi tante cose da tanti punti di vista diversi. Come mai un progetto solista e come mai elettronico?

Sai, quando sei un batterista spesso rimani un po’ “dietro le quinte” nella scrittura di un brano, non sempre è così ma è difficile riuscire a dire la tua con uno strumento puramente ritmico, c’è chi ci riesce e anche molto bene, io però avevo bisogno di provare a esprimere qualcosa di mio. Tutto è nato molto casualmente, il mio primo sintetizzatore è stato un theremin, comprato dopo aver visto un concerto di Vincenzo Vasi al Dancity Festival. Da quel momento è esplosa la passione, o possiamo chiamarla anche malattia, per i sintetizzatori e per la gran quantità di suoni che puoi tirare fuori. I primi anni ho sperimentato molto, il mio primo disco è stato infatti una sorta di laboratorio, dal quale ho poi capito in quale direzione volessi andare. Sì, devo dire che grazie al Dancity, un festival di musica elettronica che si tiene a Foligno da molti anni, ho scoperto un mondo che non conoscevo, e mi sono ritrovato completamente immerso nella musica elettronica.

Da inizio Duemila in poi c’è stato un revival enorme kraut e kosmische, sono tornati pure i sintetizzatori analogici. Cosa ti piace di questo revival? Quali “classici” (non so: Cluster, Tangerine Dream, Harmonia…) ascolti?

Anche i generi musicali sono soggetti alla moda e ogni tanto ritornano in voga. I sintetizzatori analogici sono chiaramente la cosa che mi piace di più di questo revival, le grandi manopole, il suono caldo dei transistor, peccato che ora sono diventati come delle reliquie e se non vuoi lasciarci un anno di stipendio è meglio stare alla larga. Da batterista sono un grande amante del kraut, ho anche un altro gruppo, i Danny Mellow, con altri ragazzi dell’etichetta, con cui ci muoviamo su quelle sonorità, motorik e psichedelie infinite. Ultimamente non ascolto molto i “classici” del genere, ma in passato ho apprezzato molti album di Neu!, Klaus Shulze e Jean Michel Jarre, ma amo molto anche i lavori di Laurie Spiegel e di Suzanne Ciani, spesso si tende a dimenticare il grande apporto delle donne alla musica elettronica e invece credo che è stato ed è tuttora molto importante.

Il video per “Nebula” mi ha dato un grande senso di libertà, forse perché arriva dopo due anni di confinamenti di vario tipo. C’era quest’idea dietro? Il nostro “lancio”del video è stato molto visitato, per più giorni. Noi non siamo la CNN, tu non sei ancora Jean Michel Jarre, quindi se è piaciuto non è perché la gente lo guardava per i nomi coinvolti, ma perché era proprio buono. Quale il segreto?

Diciamo che la traccia, come quasi tutto l’album, è stata scritta proprio durante il periodo di lockdown-chiusura e quindi probabilmente questo grande desiderio di libertà che esprime è semplicemente derivato da questo bisogno che avevamo tutti di ritornare alla normalità. Lo stesso video inizialmente me lo immaginavo come qualcosa di molto più asettico e innaturale, poi abbiamo deciso di girarlo sopra la cima del Monte Subasio, in una mattina di settembre con una luce incredibile e ne è uscita fuori questa bellezza. Il segreto credo che stia tutto nel fare le cose che ci piacciono e farle bene, nello scegliere le persone giuste, che non lavorano solo per te, ma che condividono e fanno parte attivamente del progetto. Con Lucia Guarino e Alessandro Sforna siamo amici da molti anni e insieme abbiamo lavorato a diversi progetti, anche molto diversi fra loro, sono stato molto fortunato ad averli con me, hanno fatto un lavoro stupendo e senza di loro il risultato non sarebbe stato lo stesso. Un ringraziamento speciale va anche a Nick Foglia che ha curato il mix e il master dell’album e chiaramente a Laura Agnusdei che ha suonato magnificamente il sax su tre brani, tra cui proprio “Nebula”.

Vorrei che tu parlassi ai nostri lettori di Laura Agnusdei, con cui collabori in questo disco. Noi abbiamo fatto l’anteprima del suo esordio, tempo fa. Bellissimo. Vedo che sta diventando sempre più presente nello scenario indipendente italiano.

Laura è una vera forza. Ci siamo conosciuti diversi anni fa grazie a Holydays Festival, l’avevamo invitata a presentare proprio il suo lavoro di esordio come solista e in seguito è tornata a suonare da noi diverse volte, ormai è di famiglia a Foligno. Nell’estate del 2020, quando non era possibile fare live né tantomeno organizzare un festival, abbiamo deciso di invitarla insieme ad altri due musicisti, Luca Sguera e Matteo Pennesi, e due artisti visivi, Giacomo Infantino e Francesca Ruberto, in una residenza di una settimana, immersi nelle nostre vicine montagne. Il risultato, “A Week From Monday”, è un libro con cd ed è una delle nostre ultime pubblicazioni con Rous Records in collaborazione con Holydays Festival e Viaindustrie. Ho pensato alla collaborazione con Laura per questo disco dopo che abbiamo suonato e improvvisato insieme al Klang nel 2019, mi sono trovato subito in sintonia con lei e finito il concerto le ho detto: “Nel mio prossimo disco ci devi essere anche tu”, e così è stato. Circa un anno fa, sono andato a trovarla a Bologna e in un pomeriggio abbiamo registrato le sue parti di sax, è stato molto divertente. Spero che le venga dato ancora più spazio nello scenario italiano e internazionale perché se lo merita.

Ho un debole per “Dust”, perché ho un debole per quelle tracce “ascensionali”, con un crescendo in termini di volume e di livelli di suono che si affastellano, quelle che poi, raggiunto un picco, scendono e si spogliano progressivamente, fino al quasi silenzio. In questo un maestro è Rafael Anton Irisarri. Tu da chi hai preso questo modus operandi?

Credo di essere stato molto influenzato dai gruppi post-rock dei primi anni Duemila. Ho suonato ore e ore la batteria sopra i dischi di Mogwai, Explosions In The Sky e Sigur Rós, che molto spesso giocano con queste dinamiche tra il bassissimo e il fortissimo. È una cosa che amo molto e che sicuramente è rimasta anche nel modo di scrivere la mia musica. Semplici basi melodiche che si ripetono quasi all’infinito; tutto si gioca nella differenza di dinamiche di tutti gli strumenti che compongono il brano.

Non mi nascondo: quando ho aperto la cartella stampa e ho letto “modern classical” non volevo nemmeno ascoltare, perché mi vien sempre da pensare a pubblicità di cose che non posso comprare. Invece è andata bene, tanto che un pezzo come “All Of A Sudden” mi piace proprio. Avevi paura di essere troppo melenso?

Quando mi chiedono: “che musica fai?” non so mai bene che rispondere, non sono un grande esperto di generi e probabilmente non credo di avere molto a che fare con il “modern classical”, ma l’aggiunta del piano spinge sempre un po’ a pensare a quel filone. Sì, effettivamente avevo molta paura di essere troppo melenso, soprattutto perché non essendo un pianista non è stato facile non cadere nel banale, ma se mi dici così tiro un respiro di sollievo.

“All Of A Sudden” è l’unica traccia che mi è uscita di getto, stavo improvvisando al piano ed è uscita fuori così come è stata registrata. Fondamentalmente è un approccio molto “percussivo” al suonare il piano, poche note di un continuo 6/8, ma il risultato finale mi piaceva molto, ed è quello che conta. “All Of A Sudden” sarà disponibile solo in digitale, non sarà presente nella versione fisica in vinile.

Ci dici dove ti vedremo suonare in futuro? Hai in mente qualche progetto particolare per portare dal vivo un disco così “visivo”?

In questi giorni sto preparando il live per il release day dell’album, l’8 aprile, sarà un’occasione particolare; insieme allo Spazio ZUT!, all’Arci Subasio e a BPM dischi ho organizzato un festival che si chiamerà Sintesi dove verranno a suonare diversi artisti incontrati e conosciuti in questi anni. Sarà forse uno dei pochi live in cui avrò a disposizione un vero piano e in cui ci sarà anche Laura al sax.

Poi sto iniziando ad organizzare un piccolo tour: purtroppo quando non hai chi lo fa per te, trovare delle date è un lavoro veramente difficile, ma ce la faremo. Per la parte visiva sarebbe incredibile riuscire ad avere live una performance di danza ma è una utopia irrealizzabile ad ogni live quindi credo che quando ci sarà la possibilità proietterò le immagini delle performance dei due video usciti come singoli, magari con qualcosa di nuovo, ci sto lavorando su.