PROCESS OF GUILT, Black Earth

I Process Of Guilt sono una di quelle band che non ti aspetti. Meglio: Black Earth è un album che non ti aspetti. I portoghesi sono una vecchia conoscenza dalle nostre parti e hanno una certa fama nell’underground. I loro lavori precedenti, che siano stati album oppure split, hanno messo in evidenza un’estrema disinvoltura stilistica pur rimanendo dentro canoni di un genere o sottogenere. In Black Earth suonano un post-hardcore lento e terremotante che ricorda i Cult Of Luna di The Beyond, ma lascia tracce cancerogene di death doom metal sullo stile di Evoken ed Esoteric. La sezione ritmica è fantasiosa nel disegnare percorsi molto originali che non lasciano respiro, sempre in una continua evoluzione e in un divenire circolare perpetuato all’infinito.

“No Shelter”, posta in apertura, imprigiona e soffoca la mente col suo incedere inesorabile quasi funereo e tetro, intervallato da schegge industrial di godfleshiana memoria. Il disco scende ulteriormente di velocità e marcisce mano a mano che scorrono i minuti e non c’è momento in cui i quattro portoghesi riescano ad annoiare. Nella title-track si scorgono i Sumac, ma c’è un’atmosfera totalmente malsana e buia che agli americani manca. Sembra comunque che i Process Of Guilt abbiamo intrapreso la stessa strada artistica della band di Aaron Turner, producendo con il passare del tempo musica sempre più debordante e nera come la pece. “Hoax” chiude il discorso con un mastodontico cadenzato ritmico dove si stagliano chitarre acidissime e una voce che evoca spiriti ed entità mai pervenute sul pianeta Terra: un blocco di granito nero che porta nuovamente alla memoria i primi Cult Of Luna.

Al netto dei paragoni con altri nomi, ci sentiamo di affermare che Black Earth è un album molto personale che può portare il nome dei Process Of Guilt molto in alto. Musica di qualità suonata con animo tormentato.