Primavera Sound 2014: dagli Arcade Fire ai Cloud Nothings

Palco Ray Ban - foto Dani Canto

Barcellona. Le foto sono tutte di Dani Canto, eccettuata quella degli Slowdive, di Eric Pamies. Provengono tutte dal sito ufficiale.

Dopo quattordici edizioni e numeri in continua crescita, appare chiaro che il primo punto di forza del Primavera Sound si debba ricercare nella sua organizzazione e non solo nella qualità della proposta musicale. Prima di parlare nel dettaglio del festival di Barcellona appena trascorso, è utile fare un’importante considerazione preliminare: la vivibilità dell’evento continua a essere più che buona (se rapportata al numero di persone che nei tre giorni principali riempiono l’area del Parc del Forum), permettendo a tutti di poter godere in maniera decente di ogni live in programma, il che costituisce un vantaggio notevole, perché parliamo di un festival con una propria identità, che prescinde comunque dai gruppi (sempre ottimi) annualmente in cartellone. Il Primavera non è dunque un mero contenitore di nomi, anzi: chi ci va una volta, poi torna, anche con continuità.

Giovedì 29 maggio.

Arcade Fire

Il giovedì il festival entra nella sua fase centrale e si attivano i numerosi palchi disseminati per il Parc del Forum: quest’anno se ne contano ben dieci, con le novità assolute Boiler Room e Hidden Stage, due situazioni al chiuso, in posti con una capienza limitata a un migliaio di persone. La nuova disposizione di “Heineken” e “Sony” (i principali) permette una visibilità pressoché ottimale in entrambi i casi. Forse quello che con la nuova sistemazione ha perso qualcosa è l’ATP, ma la crescita enorme del pubblico abituale del Primavera lo ha naturalmente spostato in un’area più grande.

La programmazione sin dal primo pomeriggio si rivela di qualità e senza soste. Sull’ATP i Föllakzoid suonano incuranti del sole in faccia e riempiono l’area di feedback e distorsioni, creando un viaggio dalle tinte psichedeliche di notevole intensità. Il concerto scorre via liscio, senza momenti morti, un buon antipasto per i Real Estate sull’Heineken. La band americana se la cava più che bene anche su di un palco grande, una scelta logistica giustificata da un successo sempre crescente. Di seguito i Girl Band dimostrano sin dai primi attimi quanto le attenzioni della stampa specializzata nei loro confronti non siano affatto esagerate e iniziano a colpire il pubblico con un ruvido post-punk che, anche se derivativo, si nota per freschezza e impatto. I Pond si rivelano come una grande live band, che trova sul Pitchfork lo scenario più adatto per mettere in luce le qualità dei musicisti. Catalogarlo come un progetto parallelo di due dei Tame Impala sarebbe riduttivo: il gruppo ha una sua identità ben precisa e rende nettamente più qui che su disco. Ottime impressioni destano anche i Caveman sul Vice Stage. New wave suonata con grande classe e in modo molto lineare ed efficace. St. Vincent, con il suo concerto sul Sony, incanta e mette in mostra una notevole presenza scenica. La bravura della cantante e chitarrista americana risalta ancora di più nel contesto minimale che la circonda. Un’esibizione che da quanto è perfetta sembra a tratti quasi fredda, come se all’artista non importasse del pubblico davanti. Chi invece non deve aver badato a spese in quanto a contorno, abiti e altro, sono gli Arcade Fire, tra i più attesi della giornata. I canadesi dimostrano di poter reggere benissimo il ruolo di headliner in una manifestazione come questa e mettono in fila un’ora e venti di emozioni e grandi pezzi. Il concerto a poco a poco diventa una vera festa, tra macchine sparacoriandoli, maschere giganti e costumi sfarzosi. La musica non finisce in secondo piano, con l’apoteosi finale di “Wake Up”. Forse il momento migliore dell’edizione 2014. I Disclosure, dopo aver suonato da queste parti pure l’anno scorso, vengono promossi da un palco piccolo al main stage in forza del successo mondiale di Settle, il loro disco d’esordio. In effetti i giovani fratelli Lawrence sono cresciuti quanto a sicurezza e il loro mix di stili elettronici sempre trasversale e a presa rapida continua ad essere molto coinvolgente. Cresce ormai la curiosità sulle future produzioni del duo. A chiudere, sul Ray Ban Stage è la volta del raffinato electro pop dei Metronomy. Se soprattutto nell’ultimo disco la formazione inglese ha puntato su un suono molto leggero e pop, nella versione dal vivo cresce il tiro e il concerto diventa sempre più godibile con il passare dei minuti, condito da arrangiamenti raffinati.

Venerdì 30 maggio.

Slowdive

Nella giornata di venerdì si segnalano subito le follie sonore di Yamantaka//Sonic Titan, mentre gli Speedy Ortiz deludono in parte con un’esibizione abbastanza ripetitiva e senza particolare verve. Uno dei concerti che rimane impresso nella memoria è invece quello dei Loop, i quali, in gran spolvero, scuotono l’ATP Stage grazie a un set tirato e a un suono granitico. Una perfetta lezione di stile. Quello degli Slowdive, tornati con un tour di reunion dopo anni, è un momento attesissimo. Probabilmente alla band non è mai capitato di suonare davanti a un pubblico così vasto come quello che ha invaso l’area davanti al Sony Stage. Nonostante questo, nessuno di loro pare tradire la benché minima emozione e si viene catapultati in un turbinio di suoni e suggestioni, con la voce di Rachel Goswell che strega. I War On Drugs iniziano in ritardo sul Pitchfork, ma si fanno perdonare con un bel set, che non delude rispetto agli ultimi due ottimi dischi. Tra le scoperte in positivo della giornata ci sono i Growlers, che coinvolgono e intrattengono il pubblico del Vice con un garage pop divertente e anche ben suonato. Il tasso alcolico elevato sul palco completa il quadro. L’ultima parte di venerdì vede i palchi riempirsi di live set dal piglio danzereccio. I !!!, come prevedibile, infiammano la platea dell’Heineken stage coi loro trascinanti ritmi dal piglio funk e il cantante Nic Offer è sempre più protagonista della scena. In un’ora di live è impossibile rimanere fermi, anche solo per pochi minuti. Assoluta sorpresa in positivo sono i Jagwar Ma, che dal vivo potenziano il loro lato dance, tra campionamenti, echi del madchester sound e brani che hanno una forza maggiore che su disco. Anche in questo caso le gambe si muovono quasi per inerzia e il Ray Ban si trasforma in pochi minuti in un catino.

Sabato 31 maggio.

Foals - foto di Dani Canto

Sabato i primi concerti sono all’insegna dell’amarcord. Prima i redivivi Superchunk, tirati a lucido e in forma per l’occasione, fanno rivivere una parte importante dell’indie rock americano degli anni Novanta. Sul palco Sony i Television di Tom Verlaine eseguono per intero il loro album più famoso, Marquee Moon, ed è un compito che viene affrontato senza alcun problema dalla band. Forse gli anni in questo caso si fanno sentire un po’ di più, ma il risultato è comunque più che buono. Più tardi, invece, con i Godspeed You! Black Emperor sull’ATP va in scena l’essenza del post-rock: una lunga suite strumentale di quasi due ore, un concerto d’ascolto che alterna crescendo chitarristici a momenti più rarefatti. Poco dopo la mezzanotte salgono sul Sony Stage i Nine Inch Nails, che investono il pubblico con un live set praticamente perfetto. La scaletta non cede alle scelte facili e, pur non facendo a meno del passato, è incentrata soprattutto su Hesitation Marks. I suoni e gli arrangiamenti sono di una precisione chirurgica, mentre è la presenza scenica di Trent Reznor a catalizzare l’attenzione per più di un’ora, fino alla chiusura affidata alla classica “Head Like A Hole”. Subito dopo tocca ai Foals incendiare l’Heineken: la band inglese è sempre in continua crescita: ormai, dopo tre dischi e numerosi concerti, si trova a suo agio anche sui palchi principali. Il finale di “Two Step Twice” rimane tra i momenti memorabili di questo Primavera 2014. Alle tre e mezzo del mattino sono gli australiani Cut Copy i mattatori degli ultimi balli e delle ultime note all’interno del Parc del Forum. Un live che arriva dritto alle gambe e al cuore, con un synth-pop che attinge non solo all’ultimo disco Free Your Mind, ma ripropone anche i singoli passati.

Domenica 1° giugno.

Cloud Nothings - foto di Dani Canto

La coda – con la festa di chiusura del festival all’Apolo la domenica – quest’anno presenta tre nomi di assoluto interesse: ci sono i Cloud Nothings che iniziano a rivoltare il locale catalano da capo a piedi. Nella loro semplicità (basso/chitarra/batteria/voce), Dylan Baldi e compagni colpiscono dritto allo stomaco con “I’m Not A Part Of You”, che potrebbe benissimo diventare un nuovo inno generazionale. Ogni esibizione di Ty Segall fa storia a sé: anche questa non è da meno, con i continui stage diving dell’istrionico cantante e chitarrista. A conti fatti, il garage rock oggi è anche e soprattutto Ty Segall. Alla fine ecco lo scanzonato electro pop dei Chromeo, che mostrano dal vivo il loro lato goliardico, oltre a confermare la fruibilità della loro proposta musicale.

Così si torna alla realtà con molta soddisfazione, ma anche con un velo di malinconia dato dalla consapevolezza di dover attendere un anno per immergersi di nuovo nel microcosmo del Primavera Sound.