Prendere Appunti #5

Nuova tappa della rubrica Prendere Appunti. Questa volta la fanno da padrone un bel po’ di uscite di ambito elettronico, ma come sempre non ne dimentichiamo alcune di area indie e noise. Buona lettura.

Electro, drone music…

MZKY, 1000 Golden Cannon (Haniwa Records, D.M.T. Records)

Michelangelo Roberti, già nei Garaliya con Andrea Belloni (MoRkObOt), torna questa volta da solo con una cassetta dal contenuto che fa il verso al Sol Levante, ce lo conferma anche la grafica. Le assonanze con la musica del Giappone si sentono un po’ in tutti i brani (giusto in alcuni passaggi di “The Water And The Moon” l’umore è forse più occidentale/carpenteriano), sempre immersi in strutture ritmiche piuttosto vigorose: questa è in sostanza la forza di una manciata di pezzi coi quali si potrebbe addirittura ballare ma, come nel caso del progetto precedente (OtRoM, sempre col fido Belloni), quella di Roberti è musica più mentale che fisica, nonostante al contempo non manchino espressività e una potente vena evocativa (di sicuro il cercare forme musicali lontane da quelle europee, ad esempio in “The Water And The Trees”, ha giovato). In 1000 Golden Cannon di certo non si fa la rivoluzione, ma l’ascolto è per fortuna piacevole e per nulla scontato. Non è poco in questi tempi di musiche sintetiche fatte a un tanto al chilo.

MATTEO UGGERI & LUCA BERGERO, Words Delicate Flight (Manyfeetunder, Grain Of Sound)

Questa volta Uggeri parte da fragili filamenti di violoncello e sax (emblematica l’apertura di “Paper Blocks”) che si perdono all’interno di una matassa elettronica evocativa. Lo aiuta Luca Bergero, anche conosciuto come Fhievel.
Words Delicate Flight è il classico album d’atmosfera, una sorta di continuum sonoro adattissimo a scene di film o documentari, che seduce o annoia a seconda degli stati d’animo. Se “Broken Keys” è materica, nervosa (quelle note di sax suonate da Luca Serrapiglio….), “Ink Lines” si erge a traccia emblematica dell’intero discorso messo in piedi dai due: qui le sensazioni oscillano tra stordimento e profonda assuefazione, insomma ci si perde (fuori e dentro la metafora), e volentieri. Ribadito che siamo di fronte a composizioni in un primo momento ostiche, col passare degli ascolti l’insieme risulta soddisfacente, ma è necessario che l’approccio si attui in maniera idealmente immersiva, al buio, di notte, con la mente sgombra dai problemi quotidiani.
Disco fragile e corale (ci sono pure gli interventi di My Dear Killer e ONQ) che mi sento di promuovere a pieni voti.

THE VERGE OF RUIN, Learn To Love Solitude (Setola Di Maiale)

Disco particolarmente misterioso questo del duo Stefano De Ponti – Shari Delorian, musicisti di area milanese che conosciamo abbastanza bene, specie il primo. Learn To Love Solitude ha avuto una gestazione piuttosto complessa, ma alla fine è riuscito a trovare casa presso Setola Di Maiale (quest’anno ne fa 25 di attività, auguri…). Il contenuto è una sorta di lungo cerimoniale dove processioni di sample si palesano improvvisamente e ti fanno quasi perdere il senno, e il sonno ai più sensibili. Tra fumose atmosfere da dopo-bomba e sezioni in forma di lunghe preghiere dall’afflato zen, quest’album assomiglia a quegli strani oggetti che si possono trovare nelle bancarelle dell’usato, quelli che un venditore poco attento ti cede per un pugno di spiccioli, e invece poi ti ritrovi in casa un prezioso pezzetto di musica. Questo non sarà un ascolto a cuor leggero, ma l’esperienza sonora è totalizzante e l’esperienza sensoriale porta i suoi benefici frutti.

LUCA SIGURTÀ, Grunge (Silken Tofu)

 

Questa volta Luca Sigurtà cambia etichetta e si accasa presso la belga Silken Tofu. Le coordinate musicali restano però più o meno le stesse del precedente Warm Glow, e quindi: elettronica evocativa ma allo stesso tempo glaciale, metallica (“Badlands”) e potente (l’incedere inesorabile di “June”, una supertraccia). Il suo è un trip hop livido, malato, ma allo stesso tempo affascinante: è ormai un maestro riconosciuto delle atmosfere, uno stregone dei suoni che porta ad arte la vivisezione (e la sublimazione) degli stessi. In questo Grunge, che credo sia un titolo provocatorio e volutamente anacronistico, si fa largo uso della parola, ad esempio in “Sewed Up”, ma non mancano momenti di terrorismo sonoro come la trascinante “Threshold”, sempre in versione relativamente “morbida”, che però non significa accomodante, anzi. Alla fine si torna sempre al concetto di malsano, sinistro, caratteristiche proprio del disco in questione.

HEIDSECK / COAGULANT, Trees / Lucifer Transit Over Jupiter (Subsidence)

 

Questa volta Fabrizio Matrone torna col suo vecchio nome e coinvolge il sodale Fkdrone. Lo split, sempre su cassetta, formato agile ed economico scelto per tutte le realizzazioni di casa Subsidence (ultime in ordine di uscita, Resonant Coil e Francisco López), si divide tra le (brevi) tracce del primo e le due più lunghe del secondo. Spiccano “Section”, tra folate gelide di synth e fondali profondissimi, e le particelle rumorose che disegnano un ideale filo drone-noise in “Germination”. COAGULANT accentua invece la componente ambient-isolazionista e – sia in “Conjuction”, sia in “Opposition Within Aside The Sun” – si misura con una personale rilettura degli abissi più reconditi dell’inconscio, infatti il suo viaggio sonoro risulta disturbante e per nulla accomodante. Questa è sostanzialmente musica per orecchie abituate ad ascolti meditati e da effettuare rigorosamente a notte fonda.

Noise e dintorni

QUI / ULTRAKELVIN, S/t (Macina Dischi)

Split tra due band all’apparenza piuttosto distanti tra loro: gli americani Qui e gli italiani Ultrakelvin, che sono i due Kelvin con “Panda” dei Putiferio (anche Woolter dei Kelvin e di MacinaDischi ha suonato nei Putiferio). Spiazza comunque la prima composizione, “Fuck Outer Space”, una suite di circa venti minuti, durante la quale Matt Cronk e Paul Christensen si cimentano in strani passaggi vicini a score cinematografici o in fraseggi math-rock, con voci teatrali in bella evidenza, compreso l’omaggio quasi wyattiano dell’ultima parte (il tono del cantato, le melodie…). Ci pensano invece le spirali noise-rock e melvinsiane di “III – Hellzabomber” degli Ultrakelvin a rendere il tutto più diretto e saltellante. Nel mezzo una sorta di jam session dal tiro psichedelico, “I – Ham Slam!”, mentre la traccia che chiude l’ep, “VI – Dwarf In Reverse” è un evidente omaggio a una delle loro passioni, i Jesus Lizard. Gli split di solito servono per scambiarsi ascoltatori e magari per piazzare una manciata di pezzi che non sono riusciti a far parte di un disco più corposo. In questo caso però l’operazione è proprio voluta e si deve apprezzare lo sforzo di MacinaDischi, che non dimentica da dove veniamo, quali sono le forme di cooperazione che danno buoni frutti musicali e a quale pubblico bisogna sapersi rivolgere.

Indie-rock

JEFF MAGNETUM, Protect Your Home And Save Your Children From Dinosaurs (Technicolor Dischi)

Jeff Magnetum è Paolo Iacopi: i più attenti tra i nostri lettori si ricorderanno che ci occupammo del suo precedente P.L.A.N.E.T.S. e prima ancora degli Empi, la sua band col socio Edoardo Melani. In questo nuovo album, che esce per due etichette, la Technicolor Dischi e la Aloch Dischi, Iacopi porta avanti con estrema abnegazione il credo beatlesiano, come già del resto in P.L.A.N.E.T.S., solo che qui il modello è portato quasi alle estreme conseguenze: struttura, melodie, arrangiamenti, tutto o quasi concorre a far venire in mente quella che per lui dev’essere una passione bruciante. Vanno citati il quasi hard-pop di “Magnetic Pill” e il fuzz-rock di “Lord Save All Children Of The World”, mentre il singolo, “Circle”, con quelle campane in sottofondo e l’andamento cantilenante, è la traccia che meglio esprime l’intento di Jeff Magnetum, alter ego di chi ha un’idea ben precisa di musica e la persegue fino a farla diventare perfettamente aderente al proprio modo di intenderla. Astenersi fan sfegatati di solo black metal o impro-jazz, va da sé.

UNOAUNO, Cronache Carsiche (Ribéss Records)

Trio con base a Milano questo degli Unoauno, ma i singoli membri hanno origini emiliano-romagnole e pugliesi. La musica che ci propongono è una sorta di post-core ben suonato e ben prodotto (bella la timbrica delle chitarre) con cantato debitore (ma sono loro stessi a dichiararlo) di Massimo Volume (“Restare Vivi” sembra uscita dalle session di Lungo I Bordi) e CCCP. Gli Unoanuno sono al loro esordio e sono poco più che ventenni, ma sembrano avere le idee già abbastanza chiare, allo stesso tempo non amano strafare, ma esprimersi in una più che coscienziosa maniera. Al netto di un cantato-recitato che confesso non essere mai stato una mia grande passione (ma è solo un problema personale…) debbo però ammettere che in fatto di atmosfere i ragazzi ci sanno fare, il basso maroccoliano di “Carsica”, profonda e teatrale allo stesso tempo, lo scoperto omaggio a Ferretti di “Dei”, mentre in “Figlio” l’ombra degli Offlaga Disco Pax è lì che cerca di farsi vedere in qualche modo. Sinceramente li preferisco di più con le chitarre in bella evidenza (ad esempio nella cattiveria esecutiva di “Giochi”). Ora devono solo capire se virare sul rock tout court oppure se battere la strada di un cantautorato moderno, perché la parte testuale evidentemente per loro ha la sua fondamentale importanza. Staremo a sentire.

Classica contemporanea

Trio Cavalazzi & Riccardo Sinigaglia, Acustica < > Elettrica (ADN, ReR Italia)

Loro sono tre fratelli lombardi all’esordio discografico, si fanno aiutare da un musicista esperto come Riccardo Sinigaglia (Futuro Antico, Correnti Magnetiche, The Doubling Riders). Acustica < > Elettrica è una prova orchestrale di tutto rispetto (registrata dal vivo nello studio di Sinigaglia nel settembre del 2016) dove il trio si misura con due violini e violoncello, Sinigaglia invece è al pianoforte e al synth. Le partiture mi sembrano certamente complesse, per quanto possa capirne io, soprattutto in alcuni frangenti; durante quelli meno (all’apparenza) improvvisativi mi è tornato alla mente lo spettralismo di scuola romitelliana, gli archi ricordano ad esempio il Talea Ensemble che suona il suo Anamorphosis (“Elettrico Uno”, ad esempio, è una composizione davvero aliena, come aliene erano certe cose del compositore goriziano). In sostanza trattasi di musiche d’atmosfera, spesso tesa, che sorprendono per la capacità di sintesi e di esecuzione, e sinceramente vedere visi di giovanissimi all’opera fa solo ben sperare per il loro futuro. Garantisce la ADN, i più attenti ricorderanno che per l’etichetta milanese sono usciti interessanti album dei Capricorni Pneumatici e del trio Venosta/Musci/Cutler. Bravi, continuate così.

Elettronica

ANTHONY LINELL, Layers Of Reality (Northern Electronics)

Linell è Abdulla Rashim, ma ha deciso di utilizzare il suo vero nome per questo nuovo ep di casa Northern Electronics, label sulla bocca di tutti della quale ci siamo spesso occupati anche noi, che peraltro pubblica altri suoi due album praticamente in contemporanea, Emerald Of Fluorescent e Consolidate. Operazione folle, quella di mettere sul mercato ben tre dischi a strettissimo giro di posta, ma tant’è, in questa sede ci occupiamo del 12”, contenente tre tracce piuttosto anfetaminiche e dal tiro dozzyano (le somiglianze col lavoro del dj romano sono palesi). La considerazione è avallata anche dal fatto che in fase di mixing c’è proprio Neel, socio di Dozzy nei Voices From The Lake e con la piccola etichetta Spazio Disponibile. La differenza in sostanza sta nella voglia di aumentare la sensazione di sperdimento trasmessa dal ritmo (l’infinita marcia della titletrack), più frammentato e minimal in “Separated From Another Bodies” o ubriacante e al limite del sovrumano in “The Levels Of Existenzial Space”. Il ragazzo evidentemente ci sa fare, ma lo sapevamo da tempo, non c’è molto altro da aggiungere.

WK569, Omaggio a Marino Zuccheri (Boring Machines)

Ha senso omaggiare Marino Zuccheri di questi tempi? Sì, secondo il trio lombardo composto da Federico Troncatti, Ezio Martinazzi e Pier Enrico Villa, che ce lo spiegano nella maniera più a loro congeniale: tramite questo lp single-sided licenziato dalla Boring Machines che trae ispirazione dalle musiche di Zuccheri. Il matrimonio tra un collettivo di tecnici e compositori relativamente poco conosciuti e l’etichetta veneta era cosa buona e giusta, e i risultati danno ragione ad entrambi. All’interno troviamo tre movimenti dove le traiettorie musicali si rincorrono e si perdono imperterrite, fino ad approdare in una sorta di immaginaria foresta digitale dove regnano ferraglie e circuiti morti, in cui è bello ascoltare questi lacerti di suono che rendono sincero tributo al collaboratore di compositori prestigiosi come Luigi Nono, Pousseur, Bruno Maderna, Luciano Berio, tutti passati per l’ormai storico Studio di Fonologia Musicale di Milano. Questa è musica fieramente anti-accademica – non a caso i tre in passato si sono misurati con una composizione ispirata a Fausto Romitelli, uno poco incline all’accademia – seppur pensata e destinata anche agli accademici, soprattutto a quelli più illuminati e curiosi. Personalmente, però, mi sento di consigliarlo a tutti, indistintamente.

SILVIA KASTEL, Air Lows (Blackest Ever Black)

 

Sarò forse stato poco attento in passato, ma su Silvia Kastel (già nei Control Unit con Ninni Morgia, con alle spalle una lunga serie di dischi per etichette per lo più estere) credo di aver letto sempre poco in italiano. Comunque, è uscito da poco questo suo esordio per la Blackest Ever Black, una delle etichette di culto di questi ultimi anni (Tropic Of Cancer, Raime, Regis…), quindi mi sembrava quasi un delitto non parlarne, dato che il disco i suoi bei motivi di interesse ce li ha. Air Lows è una prova atmosferica dove regnano synth e patterns sonori particolarmente efficaci, cangianti (“Air Glow”), potenti (“Bruell”), evocativi (la straniante e robotica “Spiderwebs”, la migliore del lotto). A conti fatti sembra uno di quegli album davvero strani del quale o ti innamori all’istante oppure ti dimentichi facilmente per via dei troppi hype-storm che tolgono l’attenzione dalle uscite meno scontate, proprio come potrebbe accadere con questo lavoro, che invece consiglio di non perdere e di ascoltare al buio, con delle cuffie serie, intenti a fantasticare di mondi paralleli e distopie.

STANISLAV TOLKACHEV, Blue Mood (Intergalactic Research Institute For Sound)

Tolkachev è un producer ucraino attivo da una decina d’anni circa, vanta una discografia già piuttosto corposa, soprattutto nei formati 12 e 10” e per etichette diverse tra loro (dalla spagnola Semantica Records alla bielorussa Energun), ma chi sa come vanno le cose in ambito elettronico è ben conscio del fatto che i producer di solito sono parecchio prolifici. Ora è la volta di questo paio di tracce licenziate dalla tedesca IRIFS (in realtà il primo pezzo era già stato pubblicato nel 2008 dalla Afterstate Recordings) dove Tolkachev mette in gioco ritmiche febbrili in “Blue Mood” e i saltelli ubriacanti di “Absolut Limit”, quest’ultima una traccia inedita e notevole nella sua espressività ritmica . Blue Mood resta, anche al netto degli anni passati, una prova più che buona che i collezionisti più incalliti non si faranno certamente sfuggire.

COEDEN & HOLY SIMILAUN, Kon-Kong (Autoproduzione)

Kon-Kong è un progetto realizzato da Coeden e Holy Similaun che si sviluppa a partire dalla decostruzione di una trasmissione radio di Hong-Kong. I suoni presenti sono stati realizzati con hardware analogici. Mutuo comodamente dalla press-sheet e confermo che si tratta di una serie di rielaborazioni, divise in tre movimenti, che variano dalla techno forgiata in un’ideale fonderia, “Kon-Kong (HS www.eight-less Version)” a una forma di elettronica che a un certo punto la forma se l’è mangiata proprio, come in un repentino e violento processo di auto-fagocitazione, “Kon-Kong Ambient Alliance Commando”. Di Holy Similaun (cioè Alberto Bertelli) avevo già scritto tempo fa, mentre non conoscevo Coeden, e posso dire che il matrimonio mi sembra piuttosto riuscito. Questa è elettronica mutante, cattiva e giovane, come ce ne dovrebbe essere sempre in giro. Date una chance anche voi.

ANYTHING POINTLESS, Eva (Superbudda Production)

Non sappiamo chi si cela esattamente dietro questo nome, che infatti è tutto un programma. Quello che conta è la musica pare di capire, e tanto basta. Anything Pontless è un prodotto del Superbudda, factory torinese che oltre coi concerti si cimenta nella produzione di una serie di dischi, come questo uscito solo in formato digitale e anticipato qualche mese fa da un paio di singoli sempre qui raccolti. La matrice è chiaramente sintetica, i modelli sono una sorta di elettronica dai toni idealmente materici, con qualche influenza delle singolari muzak di James Ferraro e Oneohtrix Pointnever, ma è solo una sensazione passeggera per fortuna e legata ad alcuni frangenti dei singoli pezzi. Più in generale chi suona e produce, credo sia piuttosto giovane…, ci mette di fronte ad una serie di prove che si esprimono per frammentazione, che a volte nascondono a fatica una linea melodica, “Wave”, e che disturbano pure (volutamente), succede in “Lightless”. L’artwork è interessante, va detto, il concept che c’è dietro pure, ma alla fine non rimane poi molto dopo vari ascolti. Bisogna forse lavorare sulla personalità, ma quella, si sa, nei casi migliori c’è già, in altri può certamente concretizzarsi meglio col passare degli anni. In bocca al lupo.