Prendere appunti #4

Si parte con un nome importante e si finisce con altri più di nicchia, tra conferme e scoperte, nella quarta puntata di Prendere Appunti. Ce n’è per tutti i gusti. Prendete nota, è il caso di ribadirlo ancora una volta.

Psych-rock

GODSPEED YOU! BLACK EMPEROR, Luciferian Towers (Constellation Records)

A ben pensarci, il gruppo canadese rappresenta una vera e propria anomalia nel panorama delle musiche underground mondiali. I membri si concedono col contagocce alla stampa, idem quando sono sul palco (chiedete ai fotografi che devono sudare le classiche sette camicie per scattare qualche foto), e pubblicano con relativa parsimonia, basta scorrere la loro discografia e ne avrete conferma. Com’è in sostanza questo loro ultimo album? Come da copione: lungo, dai toni quasi auto-celebrativi, passionale, epico, politico, insomma tutte le caratteristiche che hanno fatto la fama di questa band cosi particolare, che conta numerosi aficionados in giro per il mondo. Sfido anche i più scettici a restare impassibili all’ascolto di “Bosses Hang Pt.1”, una spirale chitarristica perfetta e dal crescendo vertiginoso. Il resto non è da meno, tra momenti relativamente più riflessivi, “Fam Famine”, e la tirata finale metallico-morriconiana di “Anthem For No State Pt. III”, che live sarà come assistere all’arrivo di un tornado. Inutile ribadire che un tipo di proposta del genere non si apprezza con l’umore sbagliato, bisogna essere particolarmente ricettivi, dunque malinconici… e lasciarsi andare. Ai loro estimatori una considerazione come questa non serve a nulla, mentre agli scettici suggerisco di mettere da parte, per almeno un paio di ascolti, le loro riserve – tra questi mi ci metto pure io – per provare a tuffarsi in questo mare di feedback ai limiti dell’inebriante.

Indie-rock

SAMSA DILEMMA, Wake Up Gregor!! (Kutmusic)

Ricordate i Pugaciov Sulla Luna? Bene, da quella band proviene Riccardo Pro, batterista, basso e voce che stavolta mutua il nome del suo nuovo gruppo a partire dal celebre personaggio-insetto kafkiano. Wake Up Gregor!! è il classico disco suonato e registrato con acume e tanta voglia di esprimersi: i modelli estetici sono sempre l’indie-rock di matrice statunitense, le melodie risultano cristalline e mai offuscate da una produzione frettolosa, anzi, coi pochi mezzi a disposizione, credo, il risultato resta degno di nota. “Rotten Underneat”, ad esempio, è articolata e sferragliante, poi proseguendo si arriva alle ballate, la super-classica “Summer’s Play” e quella a base di piano di “Lights Are Changing”, in origine di Nick Saloman, meglio conosciuto come The Bevis Frond, uno dei maggiori artefici della psichedelia inglese degli anni Ottanta. Colpisce il blues-rock con lo speech in italiano della polemica “Macerie”, che, al netto di un certo populismo nel testo, ha una base musicale stilisticamente valida. Insomma si cambia il nome, ma la sostanza in fin dei conti resta la stessa. Bentornati.

Elettronica

AA.VV., Skank Bloc Bologna Vol. 1 (Oto Casa Discografica)

“Raccolta di brani creati da artisti della città di Bologna nell’anno 2017, era volgare.”
Apre “Ombra Silenziosa Redux”, in origine di Sindaco e Carli Moretti con remix a cura di Uovo dei Pasta Boys, uno stomp assassino. Si prosegue con Mayo, qui col moniker Abyssy, dj super-esperto che dona la giusta carica detroitiana a “My MPC”. Sul secondo lato si aprono le danze con le battute dissonanti e acide di “Snap, Polaroid!”, a cura di Luca Ghini, e si conclude con Paolo Iocca (i più attenti se lo ricorderanno col nome Boxeur The Coeur) e la sua tempesta sonic-electro “Food Chain”. Oltre a una citazione degli inglesi Scritti Politti, questa compilation vuole essere probabilmente un piccolo manifesto elettronico (il primo di una serie di tre release con quattro artisti della scena elettronica bolognese) utile a ribadire la predilezione della città in questione per tutto ciò che è musicale e fatto con passione. Bologna, e i bolognesi, in fondo, sono fatti così, prendere o lasciare. Innamorarsi o tenersi a debita distanza.

IRAMMM, Les Desert D’Irammm (Shaded Explorations)

Non so chi si celi esattamente dietro questo nome curioso, so però che l’etichetta che lo pubblica è la Shaded Explorations, gestita dal producer friulano Emanuele Pertoldi, giovane di belle speranze, come si dice in questi casi, che s’è fatto le ossa nella solita affollata Berlino. Cosa si ascolta? Sin dall’apertura si avverte una evidente matrice ambient, contaminata però da buone dosi di techno (mai troppo invadenti per la verità) in “Enter Agua Illusion” o da afrori esotici che mi hanno ricordato a tratti le uscite etno-kraut di casa Black Sweat Records, ma è solo una fugace considerazione, dato che l’intento principale di Irammm sembra essere quello di creare delle textures propriamente elettroniche, utili anche a far muovere. Il suo è una sorta di dancefloor immaginario e più cerebrale (“Far Marcha” spiega meglio dove si vuole andare a parare), la convinzione si sostanzia già dopo l’ascolto delle prime due tracce del disco. In pratica più ci si addentra in Les Desert… e meglio si comprende la vera natura di quest’artista, che non fa mistero di amare il ritmo e le atmosfere e di saperle gestire con una buona padronanza. Le idee ci sono e come inizio non c’è male.

Elettronica – Jazz

GIRAFFE, Climate Ep  (Marmo Music)

Tedeschi con base a Berlino, i Giraffe sono in tre: Sascha Demand alle chitarre, Jürgen Hall agli electronics e Karl-Heinz Schöppner (ex Boytronic) alle percussioni. Dopo un disco per la belga Meakusma si accasano alla italo-germanica Marmo. Climate Ep è un assaggio di sole tre composizioni nel quale il trio si fa dare una mano pure da Marco Shuttle, altro producer di casa nostra trapiantato nella terra dei crauti. Il contenuto è uno strano pout-pourri di opalescenti sonorità jazz, figlie di improvvisazioni ma come suonate in apparente stato di relax (“Climate 2”), mentre Shuttle si prende la briga di dare un nuovo vestito a “Climate” nel suo “Moody Samba Treatment”, e infatti il piglio è quasi brasiliano e febbrile. Una manciata di pezzi sono sempre troppo pochi per comprendere appieno un progetto, avrei voluto ascoltare invece un disco più corposo, ma si sa, chi decide di fare le cose per bene ha tutto il diritto di procedere per gradi. Intanto questo ep è già un piccolo gioiello.

Drone, noise, performing music, etc.

ANGELO BIGNAMINI, Decay (Luce Sia)

L’altra metà dei Great Saunites fa uscire una cassetta che si basa su (cito le note informative dello stesso Bignamini): using handmade cassettes tape loops and tape players. This is a collage of worn and noisy tapes’ portions; a reel of dirty and flimsy sounds, through reverberations, distortions and recovery noises. Bene, ma com’è il risultato finale? È presto detto: troviamo due lunghe suite rumorose alle quali egli prova anche a dare una sorta di linearità melodica: la seconda a un certo punto sembra crescere metaforicamente come un fiume in piena. Non sembri una bestemmia, ma l’elaborazione delle suddette fonti rumorose, opportunamente sistemate e messe in fila come fosse un cut up, può certamente contribuire a dare lo status di raccolta di vere e proprie composizioni a questo Decay, dove ci sono comunque una coerenza stilistica, perfino d’ascolto, compresi un inizio ed una fine. Va da sé che se si cercano altri tipi di stimoli sensoriali/musicali, allora è meglio starsene alla larga perché siamo di fronte alla classica uscita ostica e di nicchia.

RENATO FIORITO, Sacro Sangue (Sonorus Records)

Meglio specificarlo subito: conosco personalmente il campano Renato Fiorito, dunque scrivere di un suo lavoro resta un’operazione bene o male faziosa, i motivi sono ovvi… dato però che me lo ha chiesto, mi sembrava doveroso occuparmente. Provo lo stesso a rimanere il più distaccato possibile e dico che la sua prima pubblicazione, Sacro Sangue, mostra un sostrato spirituale e quasi esoterico che in effetti non lascia indifferenti. Provate a immaginare un ragazzo che registra suoni come se non ci fosse un domani e che a un certo punto decide di estrapolarli dalla sua library per assemblarli e dar loro una forma adatta per essere inserita in un disco, una cassetta in questo caso specifico: il risultato sarà – è già, in questo caso – una sorta di lenta passeggiata sonora molto fisica, direi quasi difficile da sostenere, soprattutto se sparata in cuffia nella solitudine più assoluta. Le registrazioni sono state effettuate in varie località del Mediterraneo: a Verbicaro, nell’alta Calabria, poi a Napoli, nell’isola di Procida e a Marrakech, il risultato si sostanzia attraverso un paio di tracce sordide e per nulla accomodanti, certamente ai limiti dell’ostico, ma Sacro Sangue è proprio questo: uno studio sulle fonti sonore, non un classico album vero e proprio, che ha comunque il suo perché. Per essere un esordio, la polpa c’è tutta.

Skag Arcade/meanwhile.in.texas, Twentynine Palms (Luce Sia)

Cassetta per Paolo Colavita, cioè Skag Arcade, e Angelo Guido, meanwhile.in.texas, entrambi con alle spalle un discreto numero di uscite, quasi tutte sempre su cassetta per piccole label come Luce Sia, Triple Moon Records e via elencando. Twentynine Palms mutua il titolo dall’interessante film del regista francese Bruno Dumont – pellicola del 2003 girata in un deserto californiano che raccontava di una storia d’amore poi finita in tragedia – ma sostanzialmente si ispira alla desolata località nella quale il film fu girato. I due intervengono assieme in tutte le tracce con synth, chitarre e rumori assortiti, elaborando ideali temi che ricordino quei luoghi. Durante l’ascolto si intrecciano harsh-noise virulento, in “4”, e tracce di industrial-rock cucinato talmente a lungo da far venire fuori un pastone indigeribile e nero come la pece: la traccia “5” è particolarmente sinistra, forse la prova provata che il giochetto messo assieme dai due serve sostanzialmente a sublimare le rispettive paure. Il senso di incombenza è forte, ma è logico pensarlo visto che l’insieme è elaborato per mezzo dei classici canovacci drone e industrial più minacciosi. Pure la durata, un’ora circa, è imponente. Vedremo se ci saranno nuove ed ancora più articolate uscite in futuro.

PATRIZIA OLIVA, Numen – Life Of Elitra Lipozi (Setola Di Maiale, Staaltape)

Di casa nel catalogo della Setola Di Maiale di Stefano Giust, Patrizia Oliva fa fatica però a star ferma, vista la sua discografia, certamente corposa e costellata da uscite per etichette diverse tra loro e con altre intestazioni: Dokuro Records, Biv0uac, a nome di Madame P, con gli interessanti Camusi e suo tempo con le Allun per la Bar La Muerte di Bruno Dorella. Questo disco è un altro tentativo di dare materialità a una serie di suggestioni ed incubi che certamente colpiscono per la loro immediatezza, dalle voci fantasma agli inserti di synth ieratici, alle paturnie in forma di un blues oscuro che caratterizzano la prima parte di questo Numen – Life Of Elitra Lipozi, intitolata “Danse Des Fantomes”. Anche la seconda parte, “A Day Long To” non è da meno: qui Oliva lavora sempre con la sua voce, incastrandola perfettamente sopra un tappeto sonoro che risulta ritmicamente piuttosto eterogeneo, ma sempre minaccioso e tendente al reiterativo. Il suo piano d’azione resta intimo e sofferto, questo è evidente. Fascinoso.

ANDREA VALLE, Ultraxy (Solitunes)

Il compositore piemontese ama ideare e realizzare strutture musicali complesse, come dimostrato in questa summa di pezzi ispirati, tra le altre cose, anche dal lavoro dell’amico e performer spagnolo Marcel-lí Antúnez Roca. Sarà il suo percorso di studioso e di docente, saranno i gusti musicali, tra arti performative, jazz, hard e progressive, ma questo nuovo – relativamente nuovo perché è uscito da qualche mese – album conferma, se ancora ce ne fosse bisogno, del suo generale interesse verso costruzioni prima mentali, poi musicali, che risentono in parte dell’ormai storica lezione zorniana, in parte di un’innata propensione a giocare con le ritmiche, che in un certo senso diventano esse stesse parte integrante di queste composizioni: la scrittura è il ritmo e viceversa. Mettersi a descrivere i singoli pezzi resta quindi un’impresa ardua, ma provo lo stesso a dare qualche coordinata: colpiscono le virate impro-etno di “Kiosk”, che ricorda una partitura per piccola orchestra Gamelan, l’inizio ipercinetico di “Arkignol” o le suadenti sirene di “Ultraorbism”. Alla fine si esce dall’ascolto piuttosto storditi – il viaggio è lungo – ma consapevoli di avere affrontato un percorso irto di rifugi/trappole stilistiche, di spunti sonori particolarmente caparbi nell’insinuarsi tra gli anfratti del cervello. L’esperimento può dirsi riuscito ma va affrontato con la necessaria preparazione/attitudine mentale.

 

NO BALLS, More Is More (8mm Records)

Alzi la mano chi si ricorda dei Brainbombs. Sarete in pochi di sicuro, ma di certo vi ricorderete che fecero un passaggio su Load Records, etichetta simbolo del noise tra i più pesanti sulla faccia della terra tra i Novanta e i Duemila (in catalogo pesi massimi come Six Fingers Satellite, Sightings, Arab On Radar, Lightning Bolt…). Ora, un paio di elementi di quella cattivissima band svedese tornano con una nuova cassetta a nome No Balls, dopo una serie di uscite sparse per etichette di mezza Europa. More Is More è un coacervo di smanie chitarristiche sempre al limite del collasso: l’estenuante “Problems”, la violentissima “Breaking”, le svisate quasi noise-jazz di “Nachspiel”. Insomma, avrete capito che siamo di fronte a del materiale altamente infiammabile, che fa tornare alla mente certe produzioni toste di qualche anno fa, specie in ambito math-noise, tipo i Colossamite o i Noxagt per intenderci. Nulla di nuovo sotto il sole, chiaro, ma la riesumazione di certi canoni rumorosi e con le chitarre impazzite fa ancora la sua porca figura, soprattutto se messa in atto dalle mani giuste, proprio come succede nel disco in questione.

PUTAS BÊBADAS, Orgulho De Ex Buds (8mm Records)

Una specie di metal mutante, con massiccio uso del vocoder. Questa, in sostanza, la musica del quartetto italo-portoghese. Le cose non stanno solo cosi, ovvio, ma è per capirci e soprattutto per mettere in guardia gli ascoltatori più tradizionalisti, che di certo storceranno il naso all’ascolto di questa manciata di pezzi in odore di sberleffo, ricchi di feedback mozzafiato, di un cantato a suo modo epico ma drogato, growls compresi… evidente espressione di un modo di fare che mal sopporta schemi consolidati e preferisce mescolarli con provocatorio fare anarcoide. L’insieme è, dopo vari ascolti, parecchio ostico da apprezzare senza storcere il naso, la sensazione è di avere a che fare con una proposta monolitica, un ideale macigno, ma credo la cosa sia voluta. Se dunque siete particolarmente predisposti, allora potrete godere appieno di questo delirio marcio ed ultra-heavy, altrimenti il consiglio è di stare alla larga da questi noiser con le rotelle fuori posto.