POSTVORTA, Porrima

La morte non è niente, sono solamente passato dall’altra parte, come fossi nascosto nella stanza accanto.

Mi è capitato raramente di incontrare gruppi capaci di affrontare in modo così schietto il concetto della morte, ma i Postvorta, nella loro ormai più che decennale carriera, hanno più che dimostrato di essere in grado di esplorare e rendere in musica con maestria gli aspetti più complessi della vita umana.

La loro ultima fatica, Porrima, arriva dopo un lungo periodo di studio (li avevamo lasciati con l’ottimo Carmentis nel 2017): rappresenta il capitolo finale dell’ambiziosa trilogia basata sul tema del concepimento iniziata con Æegeria nel 2015, ma è anche un importante traguardo del percorso evolutivo della band. Il disco stupisce per ricchezza compositiva, personalità, impatto sonoro ed emotivo, dimostrando che il cinematic-doom dei sei di Ravenna non si limita più a guardare da lontano i vari Neurosis, Isis e Cult Of Luna, ma procede lungo un itinerario proprio e verso sviluppi inaspettati.

Non fatevi spaventare dalla durata generosa dei cinque brani del disco: la missione dei Postvorta è quella di immergere l’ascoltatore in un flusso continuo di immagini potenti e vibrazioni catartiche, e di accompagnarlo in una dimensione dove il tempo perde significato e non rimane che affrontare i propri fantasmi. Non a caso sono proprio ombre del passato e oscuri presagi futuri a tormentare madre e figlio protagonisti del video realizzato da Elide Blind per “Decidua Trauma Catharsis”, il pezzo che meglio rappresenta l’anima di questo lavoro, capace di schiacciarci con i suoi riff monumentali, il drumming apocalittico e il growl feroce di Nicola, ma al tempo stesso di portare a galla tensioni seppellite nel profondo del nostro subconscio.

Disperazione e ansia grondano in quantità dagli oscuri intrecci di “Epithelium Copia” e “Vasa Praevia Dispassion”, al punto da formare una marea nera che impatta su di noi rischiando di travolgerci, salvo ritirarsi in occasione dei ciclici momenti di quiete apparente, durante i quali ci viene concesso di tirare il fiato e raccogliere le forze per il successivo passaggio. Non c’è infatti solo buio in Porrima: il parlato dell’ospite Alberto Casadei in “March Dysthymia” (che abbiamo citato all’inizio) e le atmosfere liquide e piene di malinconia di “Aldehyde Framework” sembrano infatti indugiare sulla necessità di reagire e non rimanere prigionieri delle tenebre sempre in agguato nella vita.

Nella mitologia romana, Porrima (o Antevorta, “che conosce il passato”) è la controparte di Postvorta (“che conosce il futuro” e ne previene i mali), aspetti separati di Carmenta, protettrice della gravidanza e dotata del dono della profezia: anche nel titolo questo disco si pone come crocevia di una narrazione che ha caratterizzato il progetto negli ultimi cinque anni, ma squarcia anche il velo dell’avvenire, nel tentativo di esorcizzare la paura della morte e il dolore che inevitabilmente ognuno di noi deve (o dovrà) affrontare.

Nascita e morte, dunque: due facce della stessa medaglia, proprio come le due divinità che hanno ispirato i Postvorta. Forse da loro hanno colto la lezione più importante e con questo disco cercano di trasmettercela: non possiamo rimanere prigionieri del passato e non possiamo sottrarci al futuro, ma possiamo impegnarci nel presente per riparare i torti commessi e costruire un domani migliore.