Paolo Monti [The Star Pillow]

Paolo Monti [The Star Pillow]

Il musicista toscano può vantare una discreta serie di uscite, tutte più o meno ascrivibili a forme di autoproduzione. Monti è uno che, nonostante lo storico sodalizio col socio Federico Gerini, si può tranquillamente considerare un self-made man dei nostri tempi: chitarra ed effetti in spalla e via a registrare/suonare nelle più disparate location. Lo abbiamo contattato e ci siamo fatti raccontare di come e perché senta così tanto il bisogno di esprimersi…

Hai alle spalle un bel po’ di dischi, Paolo. Significa che hai sempre voglia di esprimerti il più possibile, e il fatto che pubblichi anche per etichette estere ti dà certo delle soddisfazioni, credo. Sei contento di questa prima parte di carriera? La immaginavi proprio così?

Paolo Monti: Innanzitutto grazie per quest’intervista. The Star Pillow nasce ufficialmente nel 2007 e da allora ho fatto otto album, di cui i primi tre completamente autoprodotti e assemblati a mano in casa con la mia “Taverna Records”, mentre altri sono usciti per svariate etichette, anche estere. Registro un nuovo album mosso da differenti urgenze, che possono essere espressive (lo sperimentare nuove modalità compositive o di produzione), collaborative (ricordo i quattro album con la mia quasi metà artistica Federico Gerini al piano o quello in trio con Bruno Romani), concettuali, psicologiche. Di base questo progetto per me significa soprattutto libertà di suonare la musica che sento di voler suonare, dove, quando e con chi voglio. Ecco perché sono davvero contento del cammino fatto fin qua, che sento solo come un inizio, ma soprattutto sono sbalordito da questo percorso nato come side-project senza ambizioni, se non come processo terapeutico ed evolutivo personale, ma che ha creato e continua a creare tanto interesse ed entusiasmo in persone diverse e lontane tra loro. Quindi se qualcuno mi avesse detto qualche anno fa che avrei pubblicato per etichette che seguivo o che avrei suonato all’estero con alcuni tra i miei artisti preferiti, gli avrei risposto di fumarsi meno canne.

Perché hai scelto di chiamarti in questa maniera? C’è un significato preciso dietro?

Premetto che “A Pillow Of Winds” dei Pink Floyd mi ha sempre affascinato, così come il concetto stesso di “cuscino” come qualcosa che accoglie, influenza e protegge la nostra testa e i nostri sogni per quasi un terzo della vita. Parecchi anni fa mi sono avvicinato a pratiche meditative e di sviluppo personale. Ho sentito il bisogno di tracciare una linea di confine tra veglia e sonno e analizzare tutto quello che sta nel mezzo, in questa sottile ma fertile zona ricca di emozioni, suggestioni e allucinazioni ipnagogiche. Durante una “visualizzazione” in questo stato di coscienza, ho identificato un cuscino come interfaccia del mondo dei sogni, un varco tra la veglia e la dimensione dove l’inconscio riaffiora. Da sempre, poi, rappresento l’inconscio con lo spazio profondo. Rientrato da quest’esperienza l’immagine era ancora talmente vivida e con essa le parole Star Pillow. Mi sono chiesto che musica potesse suonare in quella dimensione…

Una cosa che ho notato è che nel tuo piccolo fai un bel po’ di date in giro, sei pure reduce da un mini-tour europeo… Com’è andata? Feedback positivi ne hai avuti?

In realtà questo era nato come progetto da studio, con l’unico obiettivo di fare album e installazioni sonore. Ovviamente i presupposti sono stati quasi subito stravolti, e soprattutto da quando ho iniziato a collaborare con Federico è venuto naturale approcciarsi alla dimensione live e suonare ovunque, da librerie a salotti, da giardini a centri sociali, da studi artistici a live club, da istituti psichiatrici a sedute di meditazione. In questa fase attuale del progetto sto lavorando da solo, sia in studio che nei concerti. Dall’anno nuovo, parallelamente all’uscita dell’ultimo album, sono riuscito ad organizzare un bel tour che ha attraversato tutta la Sardegna, la Francia, il Belgio, l’Olanda, per tornare in Italia dove sta continuando tutt’ora in attesa di ripartire per Germania e Polonia a giugno e per Lettonia, Estonia e Finlandia ad agosto.  Questa prima parte di tour è stata un’esperienza elettrica, stimolante e ricca di soddisfazioni. All’estero, come in Sardegna, ho trovato una grande attenzione e interesse da parte del pubblico, oltre che un grande fermento voglia di fare musica e sperimentare che forse non ho mai visto altrove. Di feedback positivi ce ne sono stati parecchi. Dalle persone che dopo il concerto ti parlano delle emozioni e di quanto lontani sono andati con la tua musica, a Midira Records, etichetta che seguo dagli esordi, e Dirk Serries, tra i miei riferimenti, che complimentandosi per il mio concerto mi chiedono se voglio fare uno scambio di dischi. O il trio tedesco N + [B O L T] con cui si è parlato di concerti insieme per il prossimo futuro, così come ricevere i complimenti da Simon Balestrazzi, altro mio riferimento, che a Cagliari mi è venuto ad ascoltare e molti altri incontri che mi hanno realmente lusingato.

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Come pensi che possa venire definita la tua musica senza usare il solito, e logico va da sé, termine “drone”? Ogni tanto è bello sentire una descrizione dal diretto interessato…

Onestamente non saprei… Penso che le terminologie creino più fraintendimenti che altro. Tecnicamente ho iniziato The Star Pillow come ricerca ed espansione delle possibilità di utilizzo della chitarra elettrica processata con l’elettronica, sia analogica che digitale, e oggetti. Sicuramente posso dire di suonare musica dilatata, spero evocativa, con una grande componente improvvisativa, affinché risalti l’unicità del momento, le mie emozioni con tutti i loro contrasti, oltre che il suono degli ambienti dove registro.

Sei soddisfatto dell’ultimo lavoro, Above? Io ritengo che sia particolarmente ispirato, c’è una strana e positiva magia in quelle note, lo ricordo, catturate in una session a porte chiuse al BTomic di La Spezia…

Lavorare ad Above è stato puro istinto. Intorno a dicembre scorso ho pensato di voler registrare un nuovo album per sola chitarra in presa diretta, utilizzando anche l’ambiente della registrazione come strumento aggiunto. In quel periodo avevo fatto due concerti al BTomic, un locale di La Spezia – che già bazzicavo – esteticamente figo, bohémien, con un’acustica davvero caratteristica e impregnata di tutta la musica che è passata da lì. Avevo avuto modo di conoscere bene Jacopo Benassi, il proprietario, persona simpaticissima, oltre che straordinario fotografo, e mi aveva detto che di lì a poco il BTomic avrebbe chiuso per sempre. Non ci ho pensato due volte e gli ho subito chiesto di poter incidere lì il mio nuovo album. Jacopo ha accettato con entusiasmo e il 18 dicembre, nel primo pomeriggio, ho registrato una session a porte chiuse davanti al solo Jacopo e buona la prima, perché da un momento all’altro sarebbe dovuto arrivare Chris Imler a fare il soundcheck per il concerto della sera. Ho volutamente incluso gli scricchiolii, i cali di tensione, i tintinnii dei bicchieri e tutte le caratteristiche sonore del posto, che ho fatto risuonare come una gigantesca cassa armonica che rappresenta in assoluto la poesia della condizione umana, così precaria, travagliata, fragile e passionale. Così terrena che l’unico riferimento verso cui tendere è inesorabilmente sopra noi.

Avrai degli artisti e delle band che stimi in maniera particolare, immagino. Fammi un classico elenco, se ti va…

Ascolto parecchia musica e molto diversa. Sicuramente mi hanno cambiato la vita i dischi della fase elettrica di Miles Davis, ma anche Kind Of Blue, parecchio di Brian Eno in solo e in collaborazione, la psichedelia dei Sessanta e Settanta inglese ed americana, i Ramones, i Mogwai e non saprei quanta altra roba. Qualche mese fa un concerto per solo piano di Keith Jarrett è stata un’esperienza estatica. In auto attualmente sto ascoltando Dirk Serries, Aidan Baker, Pat Metheny Group, Pleq con Giulio Aldinucci, Zu, Underworld, KTL e l’ultimo cofanetto di Battiato.

Ho sempre pensato alla Toscana come ad una regione molto legata alle più diverse pratiche rock, non sto a nominare le band che sono davvero tante… Sei d’accordo? È ancora cosi secondo te?

Vivo a Carrara, nella provincia di Massa Carrara che è sul confine con la Liguria e forse è proprio per questo che non ho mai legato con le tradizioni di nessuna di queste due regioni. Pur non avendo nulla contro la tradizione rock come quella cantautorale, trovo che sia molto più interessante evidenziare il consolidarsi di molte realtà sperimentali che esistono da tempo, tra cui gli amici VipCancro, lo stesso Giulio Aldinucci, Metzengerstein, Marlon Brando, il collettivo Dio Drone e moltissimi altri ottimi progetti.

In ultimo mi dici da dove provieni, musicalmente parlando? E come conti di proseguire il tuo percorso artistico?

Sono un chitarrista autodidatta e principalmente sono sempre stato un cantante. Da ragazzino ho suonato di tutto, passando dal punk al jazz e al rock, fino a scrivere le mie canzoni nella band indie con la quale ho pubblicato un album e qualche singolo. Era materiale prodotto da Livio Magnini dei Bluvertigo, che ha girato poi anche in radio, è finito su MTV e Rock TV e ci ha permesso di suonare un po’ in Italia. Quest’esperienza e il continuo confrontarmi con dinamiche poco stimolanti artisticamente mi hanno annoiato. Essendo un grande controfobico di natura, ho sentito il bisogno di ricominciare da zero con un altro progetto che mi permettesse di vivere la musica nella sua parte più emozionante, avventurosa e stimolante, ed eccomi qua. Sicuramente in questo 2016 voglio suonare il più possibile in Italia e all’estero, oltre che registrare presto nuovo materiale per uno split con un artista svizzero, e dedicarmi alla chiusura di un nuovo progetto creato insieme a Nicola Quiriconi dei VipCancro con il prezioso contributo e la supervisione di Simon Balestrazzi.

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