Paolo Cantù (Makhno): intervista e live report

Makhno è l’ultimo alias artistico di Paolo Cantù (Tasaday, Six Minute War Madness, A Short Apnea). Mezzo secolo portato benissimo, con la voglia ancora di muoversi in avanti… Qui l’intervista e il live report in occasione del suo concerto, tappa del The Art Of The Crazy Tour, dove ha girato Italia e Germania assieme ad Hysm? Duo.

Calcio d’inizio: sei autodidatta, ho letto. Mi racconti come-dove-quando hai iniziato a suonare, e i primi ascolti, e se a Beccalossi preferivi il post-punk?

Makhno: Ho la fortuna di aver avuto fin da piccolo in casa delle chitarre, soprattutto da un certo punto in poi, anche una chitarra elettrica e un ampli valvolare (chitarra Hofner / ampli FBT) e questo grazie a mio fratello maggiore che ha otto anni più di me. Quindi fin da quando avevo sei-sette anni ho cominciato a “manipolare” lo strumento (manipolare, perché suonarla è un’altra questione…). Stessa cosa per quanto riguarda gli ascolti. Tanti 45 giri, un registratore, inizialmente a bobine e poi cassette. Fine anni Sessanta, quindi la musica che girava in casa era dai Beatles agli Stones, via via col tempo Who, Hendrix, Deep Purple, Pink Floyd, Genesis, King Crimson… Insomma, musicalmente un’infanzia felice, tutto quello che si può immaginare della musica di quegli anni e di quelli successivi. Poi, da adolescente, la folgorazione del punk, anche se in anni leggermente postumi, quindi in epoca più post punk/new wave, ‘79/’80 (anche perché nel 1976 di anni ne avevo dodici…). Ho amato Beccalossi, anche se giocavo in porta e da piccolo il mio idolo era Yashin (mai visto una volta giocare, ma alle elementari era l’idolo di tutti gli aspiranti portieri). Comunque in quegli anni a Beccalossi (e Bordon) preferivo il post-punk.

Mi fai un elenco, lungo quanto ti pare, dei tuoi dischi della vita, con breve commento per ciascuno di essi, o aneddoti collegati?

Dischi della vita, tanti, troppi da elencare… Te ne butto lì un po’ a caso, quelli che mi vengono in mente… magari alcuni sono meno “della vita” di altri che non cito. E quasi tutti sono più o meno dello stesso periodo, forse perché stasera ho in testa quello, ma ciò non significa che quelli successivi siano meno della vita di questi…

In ordine sparso:

The Pop Group – For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder?
Fondamentale. Se c’è un disco “crossover” che non ha nulla a che vedere con quello che di solito si pensa sentendo quel termine, è questo. Me lo registrò Sandro (poi con me in Orgasmo Negato/Tasaday) insieme ad altre cose di quel periodo che non conoscevo. Ha lasciato un segno profondo.

Joy Division – Unknown Pleasures
Questo e tutto il resto della discografia. C’è stato un periodo che ascoltavo solo i Joy Division.
Avevo 17 anni ed ero appena stato in un negozio di dischi a Monza e avevo comprato un bootleg dei Devo e incontro in stazione mio cugino Ray, dieci anni più di me, pensavo ascoltasse ancora solo i Genesis, guarda il disco e dice (in dialetto renderebbe di più l’idea): “bello, bravo, ma devi comprare i Joy Division, sono meglio dei Devo”.

No New York
Disco fondamentale. Ovviamente avevo solo la registrazione su cassetta. L’ho comprato poi nell’edizione russa degli anni Novanta. La No Wave è quella cosa che più di ogni altra ha insegnato che non serviva saper suonare uno strumento per fare della grande musica, e dopo anni di virtuosismi ci voleva proprio… in quegli anni vidi scritto da qualche parte anche un bel “No Brianza”… indubbiamente aveva lasciato il segno anche lì.

Patti Smith – Easter
Per me è stata la prima cosa “punk” che ho veramente ascoltato (poco tempo prima ero stato con mio fratello al concerto per Demetrio Stratos all’Arena di Milano). Angelo, mio compagno di classe, con cui condividevo gli stessi gusti musicali me lo consigliò. Dopo comprai Radio Ethiopia (che forse preferisco…) poi Horses registrato in cassetta e “Wave”. Ero innamorato. Penso di aver pianto quando i miei fratelli andarono al concerto a Firenze senza portarmi…

Gang Of Four – Entertainment
Eterno, intramontabile. Non invecchierà mai. Andavo il sabato a Milano alla fiera di Sinigaglia, a volte mi mettevo anche io a vendere qualche vecchio disco. Lo comprai usato da un dj brianzolo, disse che non era “funky” come pensava… L’ho messo un’infinità di volte sul piatto e ci suonavo sopra con la chitarra elettrica (qualcuno ogni tanto mi dice che si sente…).

Devo – Q: Are We Not Man? A: We Are Devo!
Anche questo registrato su cassetta. Facevo fatica a sentirlo tutto in una volta, lo trovavo di difficile, pesante (era una delle prime cose “new wave” che ascoltavo, ed era prima di incontrare mio cugino in stazione a Monza…). Ricordo di aver vinto un disco, degli Stranglers – “Live (X Cert)” a un quiz telefonico a Radio Montevecchia per aver indovinato le prime note di “(I Can’t Get No) Satisfaction” mandato a 45 giri… Fino a “Freedom Of Choice” fu amore assoluto, complice il concerto al Palalido del 1980, uno dei più belli di sempre.

Throbbing Gristle – 20 Jazz Funk Greats
Anche se non è questo il disco della vita dei Throbbing Gristle (perché tutta la discografia dei Throbbing Gristle ci cambiò la vita, musicalmente parlando, e i Tasaday ne sanno qualcosa), mi piace citarlo perchè il primo concerto di Orgasmo Negato (eravamo “il gruppo” ad una festa di capodanno di amici… non vi dico come andò a finire) era fondamentalmente composto da tre cover di questo disco e un brano nostro… di sicuro c’erano “Persuasion” e “Convincing People”…

Art & Tecnique – Clima-X
Dell’Industrial che non suona Industrial è sempre stato il mio preferito. Per me un disco ambient, anche se in maniera diversa da quello che si pensa di solito… E poi c’è un pezzo del disco che usavamo come sigla della trasmissione “Tasaday – Il Sacrificio Psichico”, a Radio Montevecchia… ogni volta che lo ascolto è un flashback…

Public Image Limited – Second Edition
In realtà comprai prima “First Issue” (a 17 anni avevo una sorta di venerazione per John Lydon), e la recensione su Popster (o forse si chiamava già Rockstar…) di Peppe Videtti (o forse era Giampiero Vigorito…) alla fine diceva: “…una macchia di sangue che si allarga nel cervello”, una frase che trovavo perfetta per il primo disco. Però se devo citarne uno scelgo Second Edition (Metal Box), un disco così non l’ha più fatto nessuno.

Wire – 154
Vale un po’ lo stesso discorso fatto per i Gang Of Four (anche perchè, se non ricordo male lo comprai dallo stesso dj…). Tre dischi intramontabili. Uno dei miei primi tentativi di cover in solo, con il quattro piste a cassetta, sono stati tre brani degli Wire: “Reuters”, “Marooned” e “Two People In A Room” (uno per disco), il risultato lo hanno ascoltato in due (forse tre)…

This Heat – Deceit
La recensione su Rockerilla non ci convinse (l’altro è sempre Sandro). Se non ricordo male c’era qualche riferimento a Canterbury e allora la cosa non ci andò molto a genio. Base Records fece l’edizione italiana, e se penso a quante volte ne vidi le copie nelle scatole delle offerte nei negozi di dischi, senza mai cagarlo, mi mangio i coglioni. Me lo fece scoprire Fabio Magistrali a fine anni Novanta. Mi ero perso qualcosa di importante. Per rimediare ora i dischi dei This Heat li ho tutti doppi.

E la musica nera? Nella tua lista il colore predominante è il grigio, mi pare…

La predominanza è comunque del grigio… ma comunque ho detto che sono solo una parte dei dischi della vita. Di musica nera… Hendrix, Davis, Coltrane, Art Ensemble Of Chicago, in realtà ne ho ascoltata molta ma non ho dei dischi in particolare, forse “Bitches Brew” e poi tanto bianco contaminato dal nero (che fa comunque grigio). Sinceramente il disco più nero che ho amato, e che fa parte di quelli “della vita”, è Remain In Light dei Talking Heads.

Remain In Light: quasi una preghiera, mentre l’ombra avanzava, e continua a farlo. Il grigio allora prevale perché sei cresciuto in anni grigi e bigi, a causa della Lombardia Felix oppure perché la sai troppo lunga e avevi già previsto il successo letterario (?) di “Cinquanta Sfumature di Grigio”? E, dovendo descrivere la tua musica, che parole useresti? Lo so che le definizioni lasciano il tempo che trovano eccetera… ma andando per suggestioni e facendo gli analogici, come la racconteresti la tua musica all’amico Fritz che ascolta Poison e Def Leppard, al metallaro col paraocchi, all’aborigeno dalle orecchie intatte?

Concordo su Remain In Light, tra l’altro ho avuto la fortuna di aver visto a Milano il concerto di quel tour, immensi. Mi hai fatto venire in mente un’altro disco importantissimo della mia vita: My Life In The Bush Of Ghosts di Eno e Byrne, fondamentale. Abbiamo imparato tanto da quell’album…
Non so dirti quale sia la ragione della predominanza del grigio. Può darsi che la Lombardia abbia avuto il suo ruolo… sono sempre stato molto istintivo, anche negli ascolti e nelle passioni musicali.
Non ho amici che ascoltano Poison o Def Leppard (o forse ce li ho ma hanno paura di confessarlo), e definire la propria musica è un esercizio molto faticoso. Al metallaro con i paraocchi non parlo, ricordo ancora di quando con Die Form e Orgasmo Negato (poi Tasaday) alcuni metallari ci inseguirono per menarci dopo un concerto… all’aborigeno dalle orecchie intatte non spiegherei nulla, starei solo ad ascoltarlo, di sicuro avrei molto da imparare.
“Post Punk” è la definizione che mi piace usare per la mia musica, perchè tutto ciò che è precedente a quel periodo, e chè è parte delle mie influenze, è comunque arrivato dopo e filtrato e condizionato da quella esperienza.

E poi, indugiando ancora su questo grigio (col cielo che incombe qua nelle terre basse viene naturale…), oggi mi sono ascoltato il primo degli A Short Apnea e, scorrendo i titoli, ecco “La Nota Nera Per Il Tasto Bianco”. Sono passati quasi venti anni da quel disco: e ancora suona molto bene. Che ricordi hai, cosa vuoi dire in proposito?

I ricordi sono tanti, e ho già avuto occasione di dire che, per quello che mi riguarda, A Short Apnea è stata l’esperienza più importante a livello musicale e umano che ho avuto. È stata una fase di scoperta di cose nuove, riscoperta di cose del passato e di interazione con le persone fondamentale. Lo abbiamo registrato quasi tutto a casa di Fabio, in campagna, e quando lo ascolto rivivo l’atmosfera di quei giorni. C’è molta nebbia, grigio e umido (come nei giorni di registrazione) ma anche una buona dose di afa (come nel periodo dei mix). In “Visita Notturna Al Museo Mnestico” ci sono “field recordings” che riguardano ognuno di noi in fasi importanti della nostra vita, in tutto il disco, e soprattutto in “Illu Ogod Ellat Rhagedia” (che ritengo il nostro punto più alto raggiunto) “evocare” è stato uno degli esercizi principali.

Sei in giro, tra gruppi e progetto solista, da un botto di anni. La domanda è banale ma mi scappa: come sta la “scena” italiana, ammesso che ne esista una, e solo una?

Secondo me la scena italiana sta bene. C’è un sacco di roba bella da ascoltare, forse più che in passato, forse meno di qualche anno fa ma sicuramente interessante. Parecchi posti dove si può suonare, un sacco di piccole etichette che fanno coproduzioni assieme. Manca un po’ il pubblico, ma diciamocelo, per certe cose è sempre stato poco.

Band, etichette, ti va di citare chi senti affine al tuo modus vivendi?

Domandona! C’è sempre il rischio di dimenticare qualcuno, cito veramente tutto quello che mi viene in mente al volo… per non far torto a nessuno cito quelle con cui ho avuto a che fare più recentemente: Wallace Records, Haveyousaidmidi, Xego, Bloody Sound Fucktory, Il Verso Del Cinghiale, Burp, Onlyfuckingnoise, Villa Inferno, Brigadisco, Narvalo Suoni, Icore Prod., Astio Collettivo, Artista Anch’io, che poi sono quelle con cui ho collaborato o per i miei dischi o per altre produzioni con Neonparalleli. Band: Hysm?Duo, The Great Saunites, Ludmilla Spleen, Jealousy Party, The Rambo, Nunofyrbeeswax… and so on.

Una domanda extramusicale: mi dici un libro, un posto, uno spettacolo teatrale, una parola che ti siano piaciuti e ti piacciono ?

Anche in questo caso vado con cose recenti o per istinto: “La Trilogia della Frontiera” di Cormac McCarty, perchè è l’ultima cosa che ho letto e che mi ha entusiasmato, Berlino perchè è stata una meta ricorrente in tante fasi importanti della mia vita, “Nebbia” di Daniele Finzi Pasca/ Cirque Eloize, perché mi ha ricordato il passato e non solo. Viaggio, perché è quello che ho appena fatto e che mi sto preparando a fare.

Makhno, Hysm? Duo, 14/10/2016

Reggio Emilia, Ghirba.

Nelle chitarre di Makhno le puoi sentire, la ruggine accumulata negli anni e le nuvole a incombere sul cielo senza orizzonte, i rancori, le sconfitte.
È musica molto espressiva, semplice ma non banale. A loro modo, sono canzoni di lotta, senza essere mai didascaliche. Strati di chitarre dirette ed efficaci, una voce effettata e rabbiosa, un’ottima cura dei suoni e dei dettagli: le cose (musicali) girano bene (“Avevo Cose Da Dire”, su disco con la indimenticata voce di Federico Chiappini, già Six Minute War Madness), anche se Paolo in realtà ci racconta che vanno in senso opposto.
Rock del dopo Chernobyl (il nostro ha girato in tour l’Ucraina proprio assieme ad Hysm? Duo qualche anno fa), frozen punk (il colore dominante della paletta timbrica indulge sempre verso il grigio), lampi accencanti di drone, la sintesi e la foga sputata dell’hardcore, la foga coatta del “peggior” noise. Tutto questo con una chitarra, una pedaliera ed una batteria elettronica. Una pienissima conferma.

Una grande sorpresa sono invece Hysm? Duo, da Taranto, in apertura.
Ne avevo letto in giro, ma non li avevo mai sentiti, e mi ero decisamente perso qualcosa, perché sono uno dei gruppi più freschi attualmente in giro: un duo basso e batteria che non suona a martello come Zeus!, ma preferisce andare a frugare gli spigoli, tra fuzz-jazz, sospensioni wave, ipnosi “post”, rabbie matematiche ed esplosioni sempre ben gestite. Ottimo senso delle dinamiche e del groove che rotola sempre, uniti ad un’abilità nel risultare sempre e comunque convincenti. Da seguire.

Menzione obbligatoria in coda per il delizioso tour/cd condiviso dai tre musicisti, dove, oltre a tre pezzi ciascuno, Makhno e Hysm? Duo ci ripropongono due chicche di un vecchio split, pezzi di Pop Group e Gaznevada, a conferma che si guarda avanti meglio solo se si conoscono le radici e la storia.