OTOMO YOSHIHIDE & PAAL NILSSEN-LOVE, 19th Of May 2016

Stridori, rimbrotti, graffi, suoni per nulla amichevoli, selvatici e ispidi, quelli che escono dalla chitarra malvagia di Otomo Yoshihide: Paal Nilssen-Love, alla batteria, accompagna da par suo questi suoni piacevoli come una colonscopia senza anestesia con il consueto vocabolario di frane, allusioni e tribalismi astratti.

Abbiamo imparato ad amare entrambi da tempo proprio per il loro alfabeto così feroce, libero e denso, e di entrambi abbiamo una ottima considerazione ma in questo caso l’incontro, all’insegna dell’improvvisazione rumoristica più bieca e senza compromessi, non lascia belle sensazioni, anzi. I primi cinque minuti sono una via crucis di cacofonia gratuita, poi la marea di acciaio scende e finalmente si respira, ma c’è già voluta una bella costanza per arrivare fino a qui. Costanza che però non viene premiata con tesori per l’orecchio: i due (come da titoli delle due estenuanti jam, “Cat” la prima, quasi diciassette minuti, “Dog” la seconda, addirittura attorno ai ventinove minuti) giocano a guardie e ladri rincorrendosi ed azzuffandosi senza mostrare di avere granché da dire in questo contesto. Nessuna illuminazione, nessuna sorpresa, nessuna poesia della violenza, nessun satori nel caos, solo acufene e paludi statiche. Se Putin fosse stato da quelle parti quel giorno, credo che un goccetto di polonio non glielo avrebbe tolto nessuno a questi due ragazzacci. Registrato dal vivo al DOM di Mosca il 19 maggio del 2016, ed edito dalla PNL del batterista norvegese, il disco finisce nel dimenticatoio nel momento esatto in cui smette di girare. Per i feticisti: copertina (assolutamente anonima) e missaggio a opera di Lasse Marhaug, che con i Jazkamer in passato ci ha inflitto dei tre quarti d’ora altrettanto inutili. A volte anche i grandi fanno dischi molto brutti,  e questo è decisamente un esempio perfetto.