ONGON, In Dispersione

Ongon, oltre ad essere un distretto della provincia di Suhbaatar, è anche una tipologia di Spirito nel sistema di credenze sciamaniche della Mongolia. In questo disco, uscito in digitale già da qualche mese, ma che era importante recuperare (ci torneremo presto sopra anche con un’intervista), i riferimenti al sacro sono più di uno, se consideriamo che anche il Guembri è lo strumento principale della cultura Gnawa, appartenente ai “neri” del Marocco, ovverosia le popolazioni che, trasportate attraverso il Sahara, vennero rese schiave dal sultano Ismail Ibn Sharif. Nonostante questi presupposti il gioco inventato da Antonio Bertoni sta proprio nell’equilibrio tra sacro e profano, tra naturale ed artefatto, e il risultato suona inedito quanto coinvolgente.

Il suono è molto curato, i timbri sono dosati con intelligenza e la possibilità di interpenetrazione degli strumenti è sempre mutevole e sorprendente. Tutto ruota proprio intorno al Guembri, molto diffuso in Marocco e presente in forme lievemente differenti anche nei paesi limitrofi: tre corde di budello di capra, un manico cilindrico su cui non è installata una tastiera, un corpo scavato nel legno di pioppo e una pelle di dromedario tesa a chiudere la cassa di risonanza. Nella cultura Gnawa (vocabolo che significa letteralmente “schiavo”) il ruolo del Guembri è prioritario: stabilisce l’andamento dell’impulso ritmico ma è anche la guida per le melodie e le parti cantate, accompagnato solo dal suono percussivo dei qraqeb (dei particolari crotali in metallo). Questi ultimi emulano il rumore delle catene ai piedi degli schiavi mentre i canti e le canzoni tramandate sono nenie che giocano in un dialogo/scontro continuo con le corde sorde dello strumento portante. È importante sottolineare quanto in questa cultura il Guembri stesso sia considerato abitato da spiriti e che quindi sia la chiave di comunicazione con un mondo “altro”.

Bertoni tenta, riuscendovi ampiamente e dimostrandosi inoltre in costante evoluzione, di aprire queste porte affacciate sull’altrove, in un’esplorazione che fonde sonorità estremamente materiche e fisiche di suoni di terra, deserto, montagne, capre, turbanti e hashish, con un uso dell’elettronica parsimonioso ed oculato. La differenza principale dal precedente capitolo (Exuvia, Loup Editions 2018), sembra essere l’integrazione di sintetizzatori modulari che aprono il panorama armonico verso uno stato che è già manifesto nel titolo: In Dispersione. Oltre ai modulari notiamo un grande utilizzo di percussioni acustiche, battiti di mani, spruzzate di pianoforte e slide che infittiscono la trama. Ribadisco quanto sia apprezzabile il lavoro d’invenzione di un immaginario sonoro che, partendo da qualcosa di molto povero (di quelle tre corde solo due possono essere premute per variare l’intonazione), arriva a materializzare una musica fedele alle radici della cultura da cui attinge: al suo interno, in effetti, sono ancora la danza e il ritmo che tende alla trance a comandare.

Nel live Ongon è accompagnato dagli ottimi Stefano Pilia e Paolo Mongardi, cheì garantiscono un alto tasso di intensità e magia.