Ogni mese un pezzo di Tim Holehouse: a marzo tocca a “Rebirth”

Marzo, la rinascita, un giro orizzontale, la convinzione di ripartire. Tim Holehouse sembra essere a testa bassa, convinto, non ha bisogno di alzare i toni né di urlare.

Lei è lontana, le stanze d’albergo solitarie, ogni cambiamento può essere visto come rinascita o come morte, è soltanto la nostra disposizione d’animo a farci apparire le cose luminose o tetre. Cerchiamo di aggrapparci a qualcosa ma più che la salvezza si sente il pavimento cedere sotto di noi, il baratro. In questo caso gli archi ed i tamburelli sembrano rifugiarsi in qualche rito ancestrale, riportandoci all’inizio, da dove tutto è partito, consapevoli che la storia di Tim è la nostra storia ed è il fottuto archetipo che da millenni ci portiamo dietro. A naso, passati soltanto tre mesi, dubito che il ruolo che il nostro si è ritagliato sia quello dell’eroe. Sento piuttosto le cicatrici, gli smacchi, i rifiuti, le macchie. Se lasciamo la solita vecchia merda, la ritroveremo rinascendo oppure saliremo di un livello?

Che sia quella buona Tim…

Like a new horizon
Like a second skin
A rebirth is coming
And the state I’m in
Sitting in my lonely hotel room
And I’m miles from you
I reach of for something,
Something real to hold onto.

Like the flowers in the spring time
Like the changing of the year
Something growing within me
Yeah I feel a rebirth

I feel a rebirth!