O, Il Vuoto Perfetto

Il Vuoto Perfetto

L’artwork ricavato da una vecchia foto corrosa dal tempo in cui si apre una sorta di voragine nera, testi volti a scavare nel proprio io e nelle proprie angosce, una struttura circolare che vede inizio e fine fronteggiarsi come un serpente Uroboro: sono tutti elementi che concorrono a dar forma a Il Vuoto Perfetto e indicano la volontà di andare oltre la semplice collezione di canzoni, così da mettere in scena un percorso interiore in certo modo iniziatico, che dalla distruzione di sé porti alla possibilità di una nuova partenza. La seconda prova degli O, già autori di uno split con gli Hungry Like Rakovitz, si impone per la complessità con cui i vari ingredienti si incastonano e danno vita a una mazzata feroce di postcore virato grind, personale e ben assemblato, tanto in your face quanto capace di improvvise aperture che rendono il percorso affascinante e mai monotono. Ovviamente, si resta saldi nell’ambito dell’estremismo sonoro più iconoclasta e coraggioso, lontano da qualsiasi tentazione listener-friendly o da concessioni alla melodia, ma ciò che prevale non è tanto il nichilismo fine a se stesso, quanto un concept con un suo senso compiuto e una sua precisa ragione d’essere, seppure ricca di negatività e quasi priva di prese da cui far filtrare luce. Le stesse vocals, in continua lotta con il clangore degli strumenti, oltre che sempre sul punto di spezzarsi in un grido di sofferenza e follia, concorrono a definire una sottile linea tra possibilità di comunicare e incapacità di confrontarsi con gli altri, tra la scelta della lingua madre come da tradizione hardcore e la lucida consapevolezza di non essere compresi che da poche anime affini. Per questo, Il Vuoto Perfetto non si presenta come un lavoro disposto a concedersi senza opporre resistenza, senza lottare per restare chiuso in se stesso, per cui deve essere conquistato ascolto dopo ascolto per svelarsi in tutta la sua forza espressiva e la sua complessità. Per gli altri resterà un solido disco dall’animo post in grado di unire estremismi di varia natura all’interno di una formula tanto incisiva quanto ben congegnata, il che è già un bel prendere.