O, Antropocene

Antropocene, ultima fatica dei biellesi O, è stato l’album giusto al momento giusto. Pubblicato in pieno lockdown la scorsa primavera, me lo sono consumato in solitudine mentre sui davanzali di mezza Italia striscioni e cartelli con scritto “Andrà tutto bene” spuntavano come funghi. Io non sono il tipo da rassicurazioni ipocrite: preferisco la verità nuda e cruda, per quanto brutta possa rivelarsi, e questo disco non si preoccupa certo di addolcire la pillola…

Niente case, niente cemento solo cielo nessun volto,
nessun sogno solo oceano niente dio,
niente merda solo terra nessun corpo,
nessun coro solo il tempo che avanza senza l’uomo.

Gli O hanno sempre fatto della sfiducia nella specie dominante di questo pianeta la propria bandiera: andatevi a riprendere il precedente “Pietra” e soffermatevi su “Maledetto” (il pezzo che me li fece amare) per farvi un’idea di quanto il disagio esistenziale sia il vero motore della band. In Antropocene, però, si avverte un’urgenza nuova, un bisogno irrefrenabile di esprimere il disgusto per la civiltà moderna e la sua corruzione. Ecco quindi queste nove tracce autoprodotte e disponibili per il download gratuito, come a dire: “Prendete e mangiatene tutti. E soffocate”.

Il rischio di rimanere senza respiro durante l’ascolto di questi tiratissimi quarantadue minuti è concreto, perché la mistura di black metal, hardcore, crust e sludge sale come una marea nera e inghiotte ogni cosa, nascondendo agli occhi di ipotetici osservatori esterni il triste spettacolo che si svolge quotidianamente sul nostro pianeta. Brani come “Escluso” e “Mare Morto” sono impregnati di un nichilismo brutale, mentre merita una citazione a parte “IZŌ”, inspirata all’omonimo film del regista nipponico Takashi Miike e alla figura romanzata del samurai Izo Okada, barbaramente ucciso e trasformatosi in una sorta di entità demoniaca in cerca di vendetta contro l’ordine costituito.

Gli O sono stati capaci di prendere tutti i più neri pensieri che hanno affollato il mio cervello negli ultimi mesi e inciderli su disco sotto forma di blast-beat, chitarroni incazzati e parole feroci. Così come il Covid-19 ha reso evidenti le debolezze della nostra società, i testi urlati e vomitati dal vocalist Samuele sono ceffoni in faccia distribuiti in egual misura ai responsabili del disastro sociale in cui siamo immersi e a noi tutti che accettiamo passivamente questo stato di cose. Le sberle di Antropocene non basteranno a salvarci, ma se non altro ci costringeranno a guardare in faccia la realtà e, magari, ad agire di conseguenza. 

Ma un’alba li attende, tinta di disastro
nemmeno un ricordo di quanto è scomparso
null’altro che… Antropocene.