Nuclear War Now! Fest Vol. III

Nuclear War Now! Fest Vol. III

Berlino, Blackland e Fritz Club.

Quest’anno ce l’ho fatta. L’anno scorso a fine ottobre/inizio novembre c’era stata l’accoppiata Malta Doom Metal Festival e il Live Evil Festival a Londra. Nel 2012 l’autunno ha portato due bei giorni di doom in tutte le salse al Dublin Doom Days IV a fine settembre e una maratona di black-death metal macina-ossa a Berlino all’inizio di novembre. Parlo del Nuclear War Now! Festival, cioè Live Ritual Vol. III, terza edizione della carrellata di band variamente collegate all’etichetta americana Nuclear War Now! Productions. Il festival è durato tre giorni, dall’8 al 10 novembre. Che dire… un must specialmente per chi apprezza il catalogo dell’etichetta in questione e ama black, death, thrash e doom-death metal vecchia scuola, nelle loro coniugazioni più marce, occulte, blasfeme e violente. Come dicono gli anglosassoni, o al limite anche la Fornero, “not for the squeamish”…

Non sono stata abbastanza veloce per accaparrarmi uno dei pochi biglietti per la prima serata, un “assaggio” con poche band in un locale relativamente piccolo, il Blackland. Poche ma da classica “mazzata”, visto che gli headliner altri non erano che i black-thrashers giapponesi Abigail, sedicente più cattiva band del Giappone. Magari è vero, magari no, però intanto sanno difendersi. Prima di loro la serata includeva gli svedesi Vanhelgd, gli italiani Demonomancy e gli olandesi Bunkur, per un miscuglio mefitico di death metal vecchia scuola, black death grezzo e perfino un po’ di sludge-doom. Mancavano i cileni Perversor, previsti in lista, ma il Cile sarebbe stato ben rappresentato il giorno dopo, nel cuore del festival.

Insomma, ho perso questa prima serata in cui, come dire, “si scherzava”. Però mi sono saturata di rumore infernale nelle due giornate successive dentro lo spazioso Frizt Club im Postbahnhof, a fianco della Ostbahnhof nell’ex-Berlino Est. Una maratona vera e propria, visto che, volendo esser ligi, si cominciava all’una e mezza di pomeriggio e si finiva verso mezzanotte. Concerti alternati all’esplorazione dei banchetti del merchandise delle band e degli scatoloni di cd e vinili della casa discografica ospite e dei rivenditori berlinesi di metal. Una continua tentazione…

Il mio primo giorno del festival ha visto: Knelt Rote, Anatomia, Pseudogod, Antediluvian, Blasphemophager, Wrathprayer, Dead Congregation e Rotting Christ. I Morbosidad, in ritardo, hanno suonato il giorno dopo. La grande quantità di gente e i controlli rigorosissimi hanno attardato l’ingresso all’inizio del primo giorno al Fritz Club, per cui mi sono sentita solo la coda dell’esibizione del primo gruppo, gli americani Knelt Rote, che presentavano il nuovo album Trespass, carico del loro miscuglio furioso di black, punk, grindcore e noise.  La mia full-immersion nel festival, e quasi sempre in prima o seconda fila, è iniziata effettivamente con i giapponesi Anatomia e il loro stile di doom-death metal occulto. Chitarrista, bassista e batterista si alternano nelle parti vocali d’oltretomba con rantoli e growl, ma il batterista, già nella mitica brutal band Waco Jesus, tende a dominare. Le tastiere in mano alla graziosissima Kaori (giuro!) aggiungono al sound degli Anatomia quel tocco macabro e cimiteriale in stile Abysmal Grief. Anche se la band inizia, e di fatto anche finisce, con brani relativamente veloci, vengono snocciolati riff pesantissimi, maligni, ma carichi di groove sabbathiano, quindi la pesantezza, la distorsione, l’oscurità e la lentezza pachidermica, oltre che i capelli lunghissimi del chitarrista impigliati nelle corde della chitarra, restano il loro imprint. Devo dire che ho trovato un po’ una caduta di stile la scelta di sfoggiare la maglietta… di se stessi. Cosa che perdono solo ai Proclamation!

È la volta dei russi Pseudogod, latori malati di un black death metal grezzo, bestiale e lurido, come la loro presenza scenica. Maglie, giacche di pelle fruste e capelli sono intrisi di sangue (o qualcosa di simile), il corpse-painting è, giustamente, malfatto e macabro. Il soundcheck un po’ difficoltoso contribuisce a scaldare ancora di più la “tifoseria” di metallari russi che inneggiano come allo stadio già pieni di alcol (e sono solo le due di pomeriggio). Il pogo che segue è violentissimo.

Gli animi si calmano, per così dire, con il sublime gruppo canadese degli Antediluvian, dedito a tradurre in musica il rumore di pianeti che collidono e di magmi ribollenti che, sparati dal margine del nucleo della Terra, ne invadono la superficie. È affascinante osservare come sia laborioso creare il muro di suono caotico e ipnotico che emana dalle due chitarre e dal basso degli Antediluvian. Ogni tanto si è catturati da qualche riff o ritmo riconoscibile che passa come una cometa. La band, intenta a costruire il suo suono apocalittico, è abbastanza statica. I tre chitarristi di fronte al pubblico sono incappucciati con felpe brune e non con tuniche, ma sono ieratici quasi come sacerdoti. La monumentalità del suono è accresciuta, se possibile, dalle parti vocali impressionanti per profondità di Haasiophis. Se non è la voce di Chtulhu questa… Il pubblico non poga, non si può. Le teste ondeggiano perché ipnotizzate dall’enormità di questo metallo da buco nero.

Blasphemophagher

Arrivano quasi come un balsamo gli italici Blasphemophagher, che fanno anche capire ai locali quanto è numerosa e calorosa, a forza di classici “porco qua” e “porco là”, la delegazione dei metallari italiani tra il pubblico. Dopo i pianeti che collidono e le supernove che esplodono, con loro si torna sulla terra, anzi no, all’inferno, ma quello dei metallari dove si fa casino abbestia. I nostri fanno uno show esplosivo e forse anche un po’ liberatorio. Death metal da guerra e vecchia scuola, come suggeriscono le magliette di Blasphemy e Immolation. I baffoni a manubrio del bassista-cantante mettono di buonumore, ma sono assolutamente traditori. Basta guardare la bardatura grottesca del chitarrista, un classico per questo festival: maschera antigas, elmetto e bracciali con spikes lunghi una ventina di centimetri. Death metal marcio e arricchito con accelerazioni thrash che non lasciano mai riprendere il fiato alla massa dedita a un pogo furioso. E come si chiude? Con… il lancio del basso! A show finito la massa urlante, per la prima volta, invoca “we want more”. Una bella soddisfazione…

È il turno, di nuovo, del metallo sepolcrale e occulto, del canto da “Grandi Antichi” e di messe nere nelle cripte. Anche se non è mezzanotte, siamo tutti sicuri che fuori il sole si sia improvvisamente oscurato all’arrivo dei mostri Wrathprayer. È proprio vero che l’abito non fa il monaco. Questi ragazzoni cileni dai capelli lunghissimi e lucidi (da invidia!) hanno solo gli occhi un po’ cerchiati di nero e non riescono a far paura, almeno a vederli. Ma basta che inizino a suonare, e a cantare, che tutto si trasforma in un incubo. Con il black death metal dei Wrathprayer si scende all’inferno, veramente. Vengono sparati riff frenetici e ipnotici, velocissimi al punto da sembrare immoti, perché ti annebbiano la mente come il drone. In effetti, però, i cambi di tempo non sono infrequenti e non ci si annoia. E poi c’è quel modo di cantare, pazzesco… Nel moshpit si vede relativamente poco pogo perché non c’è niente da fare, i Wrathprayer ti stregano. Rispetto a come mi sembrava di sentirli su disco, più che l’elemento occulto qui mi sembra prevalga il rumore infernale che questi tre ragazzi riescono a evocare. La batteria in particolare viene massacrata durante le lunghe ballate blasfeme che compongono un’esibizione coi fiocchi, di cui si rendono conto anche i musicisti, emozionati e quasi sorpresi dalla partecipazione calorosa del pubblico.

Mancano i Morbosidad, bloccati da qualche parte per problemi di aereo. Durante un intervallo più lungo del solito si preparano i Dead Congregation, esponenti della scena greca (che è davvero notevole e dedita a varie forme di metal maligno). È una band recente, ma coinvolge membri degli storici Embrace Of Thorns, che vedremo il giorno dopo. Partono con un’introduzione lunga e monumentale, degna della carica di death metal devastante e tenebroso che arriverà dopo. Mi vengono in mente Incantation, Nile, Gravewürm, Coffin Text… si tratta di death metal tellurico, morboso e carico di furia. La batteria è velocissima e sorda, al pari di chitarre e basso che brontolano come tuoni lontani. Le parti vocali non sono meno d’impatto: profonde, paurose, d’oltretomba. Il pogo è rabbioso e segue le maree di questa musica allucinante. La fine è molto suggestiva: fumo, silenzio, i chitarristi incurvati, pietrificati nell’ultimo headbanging. Poi si leva un canto isolato, una melodia antica, d’ispirazione mediorientale. In che tempo siamo finiti? Dopo un crescendo nel canto esplodono per l’ultima volta chitarre, basso e batteria in un finale da olocausto atomico.

Ultima pausa, ultimo soundcheck, con tanto di esposizione delle insegne della band, ed è la volta degli headliners: altro metallo greco leggendario, i Rotting Christ. Quindi si chiude in bellezza con lo stile suggestivo e lussureggiante di Sakis Tolis e compagni. Il pubblico entusiasta canta le ballate oscure, ruvide ma in fondo intrise di melodia epica e calda, come “Non Serviam” e altre, proposte dal repertorio vastissimo del gruppo. Uno o due brani grezzi e brutali, come le vecchie tracce delle nuove riedizioni preparate dalla Nuclear War Now!, riportano alla memoria gli inizi di questa band all’insegna del raw black metal e del grindcore, anche se l’esecuzione viene fatta secondo l’attuale stile Rotting Christ, più melodico.

E questo secondo giorno del festival è finito.

Proclamation

Il terzo e ultimo giorno, sabato 10 novembre, nasce ancora più carico di aspettative per il calibro delle band che calpesteranno l’ampio stage di questo locale, il Fritz Club, dove la qualità dell’audio è davvero notevole e dove, nonostante la calca, si riesce a non morire di caldo. In programma abbiamo Bestial Raids, Adorior, Embrace Of Thorns, Black Witchery, Morbosidad, Proclamation, Ares Kingdom, Sabbat, Revenge e Blasphemy. C’è senz’altro varietà nella proposta, ma anche oggi il leitmotiv è declinare tutte le varianti e i sinonimi del termine “bestiale”.

All’una e mezza una sala piena accoglie i polacchi Bestial (appunto) Raids, che fanno onore al loro nome bardati di lunghi spikes metallici e maschere antigas. La loro musica è soffocante e incessante, violentissima, primitiva e condotta da una voce inumana. Nonostante la velocità, ci sono la stessa atmosfera macabra e un non so che di arcaico che attrae, o repelle, quando si ascoltano i Cultes De Ghoules, gruppo-mostro con cui i Bestial Raids sono imparentati.

È poi la volta dei britannici Adorior, altra band di lungo corso. Accolti con grande entusiasmo, gli Adorior rappresentano un po’ un’anomalia, visto che il “frontman” è Melissa, una delle voci metal femminili più furiose, da vera strega cattiva. Paurosa nelle sue invocazioni negromantiche e abile anche nell’aizzare la folla tra un brano e l’altro, riesce anche a trovare il tempo per presentare a uno a uno i suoi compagni, variamente borchiati, che hanno fatto e fanno parte di altre notevoli band del panorama death metal britannico, come ad esempio Cruciamentum, Grave Miasma, Lvcifyre… Gli Adorior e la sacerdotessa malefica Melissa propongono un death metal satanico e brutale che fa gelare il sangue e bollire le budella con la carica di riff violenti sì, ma anche parecchio tecnici. Non per niente il chitarrista indossa una vissuta maglietta col logo dei Voivod.

Dopo la performance incendiaria dei britannici è la volta dei greci Embrace Of Thorns, qualcuno dei quali si presenta sullo stage incappucciato. Il loro è un death metal tenebroso ma in qualche modo epico, forse grazie all’uso di melodie occulte e solenni. Per questo il set è molto coinvolgente e rappresenta una bella variazione rispetto alla tensione primitiva evocata dalle band che hanno iniziato la rassegna.

Anche perché dopo gli Embrace Of Thorns si torna alla blasfemia con i Black Witchery, dagli USA, avvolti in sai e incappucciati, adornati da pendenti metallici abbastanza vistosi con tanto di croci rovesciate e teste di caprone, catene, corpse-painting d’ordinanza che trapela dalle falde dei cappucci e fasce delle chitarre irte di spuntoni. Insomma, anche l’occhio del metallaro vuole la sua parte e quindi c’è da divertirsi, anche con la loro musica da cardiopalma: ritmo martellante, voci ultraterrene, nenie sataniche che mandano fuori di testa.

Dopo i Black Witchery subentrano, acclamatissimi, i Morbosidad, ritardatari loro malgrado. Vengono accolti in modo particolarmente festoso dai metallari di lingua spagnola. Alcuni di questi espongono una bandiera messicana, poi donata al frontman, che, emozionato, la bacia macchiandola con sangue con cui si è impiastrato per lo show. Questi metallari “storici”, che abbondano nel festival in questione, avranno pure i capelli grigi e un po’ di panza, ma sono animati da un flusso sorprendente di energia che infondono nel loro death metal di vecchissima scuola, implacabile, lurido e dissacrante. Quest’ultimo aspetto si concretizza sulla scena non solo con la presenza delle solite croci rovesciate, ma anche con il gesto di strappare pagine di una bibbia e buttarle nel moshpit dopo aver dato loro fuoco. Giusto quel che ci vuole per preparare la folla alle bestie che seguiranno: i Proclamation, dalla Spagna.

Proclamation

I Proclamation si prendono il tempo di issare sullo sfondo dello stage il lenzuolo nero con il teschio cornuto, quasi una mascotte, che troneggia in varie fogge nelle copertine dei loro dischi. Arrivano a Berlino attesissimi e con il merchandise già praticamente esaurito. Ci lasciano quasi tutti a bocca asciutta, ma non smentiscono la loro fama: fanno uno show da urlo con la folla impazzita. Se esiste qualcuno che sa come invocare l’Armageddon… beh… il trio spagnolo ci sa davvero fare. I Proclamation sono bestiali all’ennesima potenza e abbandonano anche quel minimo di limiti che permangono negli altri gruppi, pure di culto o quasi, a cui sono stati legati: Teitanblood, Nazgul… Ossessivo e pesante in modo assurdo: così è il black-death metal di questi tre, coperti da quantità esagerate di catene, borchie e spuntoni, e gli stanno pure bene! Finalmente me li vedo, una delle band per cui sono qui, e sono in prima fila, aggrappata alla transenna, davanti al frontman, che porta il nome sobrio di “Usurper of Eternal Condemnation and Inverted Crucifixion”, con la chioma lunga, ondulata e perfettamente a posto. Siamo tutti pressati dalla folla che ondeggia mentre tenta di seguire col capo e con le spalle il ritmo assurdo della batteria e dei riff. Ma sono riff? Non importa, la nostra componente umana è annientata, vogliamo solo sentire rantoli e caos. La luce sullo stage sta quasi sempre fissa sul rosso, ma a un certo punto, finalmente, diventa tutto buio e solo luci fioche illuminano di traverso i musicisti, che si trasformano in spettri. Maestri…

Se i Proclamation, a chi non li ama (non c’è via di mezzo …), possono dare l’impressione di caos più che di saper suonare, ci pensano i grandi Ares Kingdom, americani e “figli” dei mitici Order From Chaos, a far ritornare protagonista il riff nel senso più pregnante. Se vuol dire qualcosa quel che i musicisti decidono d’indossare sullo stage, la maglietta strappata dei Coroner del chitarrista di punta Chuck Keller e il mega patch dorsale dei Midnight sul giubbotto del bassista-cantante, il massiccio Alex Blume, parlano chiaro. Gli Ares Kingdom regalano una travolgente colata di blackened heavy metal molto tecnico, per non dire funambolico, che occhieggia al death metal per pesantezza e per il canto rauco che la band adotta, ma che spazia in territori thrash-speed con dei cambi di tempo vertiginosi. Sudano e fanno sudare, i quattro degli Ares Kingdom, stratosferici per la cascata di riff iper-tecnici e per la bravura nel renderli appassionanti e mai pedanti. Questo “angolo” di puro heavy metal, nel cuore di una giornata e in un festival dominati da un metal più animaleso, è azzeccatissimo, e bello.

Mentre ancora le orecchie ronzano per le acrobazie di Chuck Keller sulla sua chitarra, nell’intervallo il palco si anima con l’arrivo dei tre membri dei Sabbat, dal Giappone, per il soundcheck. Impossibile trattenere qualche risatina all’ingresso di Gezol, il frontman bassista di questa band storica ed iperproduttiva, visto come è bardato, anche se c’era da aspettarselo: sospensorio di pelle nera borchiata e fascia addominale di cinture nere borchiate. Basta. Beh, quando uno è molto tonico…  Comunque non è tanto il look che conta, anche se fa divertire, se non infiammare la massa di gente. I Sabbat regalano quasi un’ora di puro godimento con il loro black-thrash frenetico e cattivo, sfrontato come il punk e acido come gli strilli del frontman sado-maso che non sta fermo un attimo. La frenesia dei brani velocissimi non riesce a nascondere un po’ di bei riff che il giovane chitarrista, recente aggiunta alla line-up, sa tirar fuori. La spettacolarità scenica della performance dei Sabbat non si ferma all’abbigliamento dei musicisti ma trova la sua apoteosi nell’atto finale. Così, dopo lo stage-diving del basso dei Blasphemophagher, coi Sabbat si va oltre e si assiste alla distruzione del basso di Gezol su di un pannello di cemento appositamente preparato in mezzo allo stage. Molto old-school! In questi tempi di crisi a qualche ragazzotto musicista metaller tra la folla forse avrà pianto un po’ il cuore…

Sabbat

Va bene, finora tra borchie, spuntoni, caproni, bestie, riff e via andare, evidentemente ci siamo sollazzati anche troppo. È ora di dare un senso al nome del festival e della casa discografica che lo sponsorizza, Nuclear War Now!.

È arrivata l’ora della battaglia per concludere la giornata e l’evento stesso. I venti di guerra non possono che venire dal Canada, prima con i “figli” e poi con i “padri” di uno dei generi più brutali del metal, il war metal.

L’inizio della fine è in mano ai Revenge, le cui insegne, esposte sullo stage, sono neanche tanto velatamente ispirate al Terzo Reich. I Revenge, ex Conqueror e collegati con un tot di altri gruppi metal estremi canadesi di punta, sono tra le band che più accanitamente coltivano il black-death metal “da bombardamento”. Non per niente il vero “boss” della band è il batterista, impressionante. In prima linea sullo stage Haasiophis degli Antediluvian (come live guest musician) e il chitarrista dal look skinhead contribuiscono – con viso duro, occhi spiritati carichi di odio e cantato malefico ed allucinato – a un’esibizione opprimente e di estrema pesantezza. La folla è stremata, ma ancora carica e incattivita abbastanza per accogliere in maniera adeguata le star dell’intero festival, praticamente gli antesignani del war death metal: i canadesi Blasphemy. Una band leggendaria, che viene direttamente dagli anni ’80/’90, ma che non ha mai smesso di suonare. Non una di quelle reunion recenti, per carità, spesso ben accette, ma a volte un po’ di comodo giusto perché il vento del metal sembra tirare più di prima. Siamo tutti a pezzi, ma la sala del Fritz Club resta piena a rendere onore e anche a godere delle mazzate che arrivano dallo stage da questi grandi “vecchi” borchiati, incappucciati e incatenati anche loro. Finché, dopo il bis, finisce proprio tutto, le luci si accendono ed entra l’esercito dei ragazzi che vengono a pulire il locale prima della chiusura.

Blasphemy

Qualcuno aiuterà quei (pochi) metallari chissà da quanto tempo accasciati in qualche angolo della sala, forse in coma etilico, lordati del proprio vomito. Cose che succedono da giovani…

Ragazzi, che legnate… L’anno prossimo mi sa che ci torno!

Notizie, commenti e foto qui e qui.

Sulla pagina Facebook del mio programma per Core Of Destruction Radio trovate il podcast della puntata che ho dedicato alle band del Festival.